Crepuscolo letterario di Luciana Fredella
Patrick Fogli presenta “Così in terra”
Un nuovo romanzo che non smette di sorprendere per la singolarità dei suoi spunti narrativi
sabato 13 agosto 2022
7.34
Esistono storie che per quanto incredibili possono essere vere nella misura in cui insinuano nel lettore dubbi introspettivi e spunti di riflessione su sé e che forse possono insegnare a guardare gli altri in un altro modo, per quello che sono nonostante la diversità. Si perché "Così in terra" di Patrick Fogli è un libro che parla molto della diversità, che non è solo quella che può derivare da un handicap, ma anche da un "super-potere". Il protagonista del romanzo è Daniel che ha cinque anni il giorno in cui varca il cancello dell'Istituto aggrappato alla mano di sua mamma. Hanno camminato a lungo, e quando suor Anna li accoglie, madre e figlio hanno poche parole da spendere, solo bisogno di mangiare qualcosa e riposare. La donna morirà quella notte lasciando il bambino solo al mondo e senza la risposta a molte domande. Domande che ancora tormentano Daniel ora che l'Istituto è solo un ricordo e lui è diventato uno degli uomini più conosciuti del pianeta. I suoi numeri ne hanno fatto il più grande illusionista di tutti i tempi, capace di fare cose mai viste prima. Ma se non si trattasse di un trucco? Daniel è il solo a sapere che non lo è. Lo sa da quando all'Istituto ha spezzato un braccio al suo aguzzino solo pensando di farlo, da quando ha iniziato a sentire i pensieri degli altri, un'onda che lo travolge ogni volta che abbassa le difese, e che con fatica ha imparato a gestire. Da quando ha capito che gli basta desiderare una cosa perché questa accada, come è successo con quella donna che ha strappato alla morte, e quella che invece ha scelto di non salvare. Ma tutto questo è un segreto che nel tempo si è fatto sempre più ingombrante, che l'ha avvelenato lentamente come l'adamantio di Logan, da sempre il suo supereroe preferito, e che l'ha costretto a vivere nella menzogna e nell'incubo di non sapere lui stesso chi sia. O cosa sia. Ora è arrivato il momento di smettere di nascondersi, ma ci sarà un prezzo da pagare. Un romanzo come "Così in terra" per Mondadori che pesca dall'immaginario fumettistico, esercitandone la stessa fascinazione, per tradurre in chiave letteraria e psicologica quella ricerca di identità che in fondo appartiene a ognuno di noi.
Per capire ed entrare meglio nelle vicende del libro abbiamo intervistato l'autore: Patrick Fogli(50 anni) di Bologna, laureato in ingegneria elettronica, vive sull'Appennino reggiano. Tiene, quando ha qualcosa da dire, un blog e si fa un punto di rispondere a chiunque gli scriva. Ha pubblicato i romanzi Lentamente prima di morire (Piemme, 2006), L'ultima estate di innocenza (Piemme, 2007), Il tempo infranto (Piemme, 2008), Dovrei essere fumo (Piemme, 2014), Io sono Alfa (Frassinelli, 2015), e A chi appartiene la notte (Baldini + Castoldi, 2018), che gli è valso il premio Scerbanenco e Il signore delle maschere (Mondadori, 2019).
Daniel è un personaggio molto particolare poiché è nato con un potere che lo rende unico, ovvero è in grado di realizzare e di concretizzare qualunque cosa pensi. Come nasce il personaggio "Daniel", chi è? Nasce da lontano. La prima idea di Daniel arriva da un racconto che ho scritto mille anni fa e che non ho nemmeno più, scomparso nell'hard disk di un vecchio iMac dismesso. A quanto pare era abbastanza forte da resistere al tempo, alle storie che ho scritto. Di quella storia è rimasto poco, solo l'idea di un illusionista che in realtà non lo è, ma che mette in scena i poteri con cui è nato e cresciuto, fingendo che siano trucchi. Chi è Daniel? Un diverso, qualcuno direbbe un mostro (non sono spesso trattati così i diversi?), un uomo costretto a nascondersi e di conseguenza un uomo solo. Un uomo prigioniero del suo segreto. Un uomo alla ricerca di se stesso e della sua mattonella, il posto del mondo in cui è destinato a stare. Un uomo che si chiede cosa ha fatto della sua vita.
Daniel sin da piccolo comincia a cercare se stesso, a capire la sua natura e fa una cosa molto intelligente: diventa illusionista perché è l'unico modo che ha per essere se stesso. Tuttavia si percepisce un forte senso di solitudine che diventa quasi una ricerca necessaria. La diversità di Daniel può essere paragonata a una prigione senza porte? Lo è, come lo è ogni situazione in cui la vita ci costringe in un angolo da cui pare non ci sia uscita. Nel suo caso è anche peggio. La diversità di Daniel è unicità. Non esiste un altro uomo come lui. E la causa di quella unicità lo rende costretto in un segreto che non può raccontare, perché non può essere creduto o capito o accettato. Sembra una situazione senza via d'uscita, appunto. Ma la via di uscita esiste sempre, a volte estrema. E ha a che fare, nel suo caso, con lo scopo della sua vita e dei suoi poteri.
La vita di Daniel sembra un viaggio alla continua ricerca di risposte: chi è, perché ha quel potere, a cosa serve, chi è suo padre… senza spoilerare, - secondo te - Daniel poteva essere diverso, ovvero scegliere di non indagare la sua origine e sfruttare negativamente le sue facoltà? Daniel è di fatto onnipotente. E malgrado tutti noi consideriamo l'onnipotenza in senso positivo, perché la riferiamo a Dio, non lo è per forza. Significa solo poter fare tutto quello che si vuole. Tutto. In senso stretto. Creare e distruggere, considerando gli estremi. La scelta del Bene che fa Daniel è una scelta che ha un prezzo, il congelamento di ogni impulso per evitare di cedere a quelli negativi. Un autocontrollo feroce che applica in ogni momento della sua vita. Avrebbe potuto essere diverso? Sì, certo. Sarebbe stato anche più semplice. Ma avrebbe significato, per me che lo racconto, esplorare un territorio diverso da quello che avevo in mente.
Daniel è ateo e tra le persone, le pochissime persone cui si lega, c'è un prete, Padre Simone che forse è l'unica figura di cui Daniel ha davvero bisogno per guardare meglio dentro sé. Considerando che tra gli affetti di Daniel c'è Suor Anna, quando hai deciso di far "svelare" Daniel, perché hai pensato a un prete e non a una suora? Intanto, perché suor Anna, in quel momento della sua vita, non c'è. Poi perché Daniel ha bisogno di qualcuno a cui confessarsi e che non sappia nulla, nemmeno chi è nella vita pubblica. In ultimo perché a lui manca del tutto la figura paterna e un padre, nel senso religioso del termine, era la persona giusta. Oltre al fatto che sono i preti che confessano, giusto o sbagliato che sia.
Nel romanzo ci sono molte citazioni musicali. Quando scrivi, la musica si adatta alle parole o le parole si adattano alla musica? Scrivo in silenzio, quindi la musica non esiste nel mondo in cui batto sui tasti. Esiste, però, moltissimo nel mondo della storia e nella mia vita. Di solito accade per sbaglio. Ascolto una canzone e mi rendo conto che un verso potrebbe avere un significato. Oppure penso a che musica ascolterebbe il mio personaggio e provo ad ascoltarla. In questo romanzo la musica aveva anche una funzione cronologica. In una storia quasi senza tempo, gli anni della sua crescita dovevano per forza avere un contorno musicale, perché la generazione a cui appartiene a Daniel lo ha avuto e con grande importanza.
Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato nella stesura del romanzo?La figura di Cristo e il paradosso di un possibile Messia ateo sono state le maggiori. Era difficile affrontare la questione e farlo con naturalezza, senza che sembrasse artificioso, provocatorio o retorico. Di conseguenza il rapporto con Simone, che è al centro di questo punto, è stato molto complicato da scovare. Spero che sia sembrato naturale, il tentativo di un uomo che non sa nulla di sè, che cerca di risposte, di confrontarsi per la prima volta nella vita con il mistero della sua esistenza.
La struttura del romanzo è divisa in due: un plot in terza persona racconta la storia di Daniel piccolo, un plot in prima persona è il Daniel contemporaneo, che parla al lettore. Come mai hai adottato questa scelta? Questa storia, almeno in parte, si svolge nella testa del protagonista. I dubbi di Daniel adulto, le sue domande, le incertezze, le paure, la ricerca, lo sconforto, la rabbia. Tutto questo non poteva che essere raccontato in prima persona. Doveva essere lui a dirlo al lettore e il lettore doveva vivere nella sua testa, fra i suoi pensieri. Di contro, quindi, la parte da bambino doveva avere un narratore terzo, che raccontasse guardando da fuori, che accompagnasse il lettore tanto quanto l'altro lo immergeva.
Quali sono i progetti futuri di Patrick Fogli? Difficile da dire. Sono molto lento, prima di ricominciare a scrivere. Sto ragionando sul Male, è tutto quello che posso dire.
Grazie e buon lavoro
Luciana Fredella
Per capire ed entrare meglio nelle vicende del libro abbiamo intervistato l'autore: Patrick Fogli(50 anni) di Bologna, laureato in ingegneria elettronica, vive sull'Appennino reggiano. Tiene, quando ha qualcosa da dire, un blog e si fa un punto di rispondere a chiunque gli scriva. Ha pubblicato i romanzi Lentamente prima di morire (Piemme, 2006), L'ultima estate di innocenza (Piemme, 2007), Il tempo infranto (Piemme, 2008), Dovrei essere fumo (Piemme, 2014), Io sono Alfa (Frassinelli, 2015), e A chi appartiene la notte (Baldini + Castoldi, 2018), che gli è valso il premio Scerbanenco e Il signore delle maschere (Mondadori, 2019).
Daniel è un personaggio molto particolare poiché è nato con un potere che lo rende unico, ovvero è in grado di realizzare e di concretizzare qualunque cosa pensi. Come nasce il personaggio "Daniel", chi è? Nasce da lontano. La prima idea di Daniel arriva da un racconto che ho scritto mille anni fa e che non ho nemmeno più, scomparso nell'hard disk di un vecchio iMac dismesso. A quanto pare era abbastanza forte da resistere al tempo, alle storie che ho scritto. Di quella storia è rimasto poco, solo l'idea di un illusionista che in realtà non lo è, ma che mette in scena i poteri con cui è nato e cresciuto, fingendo che siano trucchi. Chi è Daniel? Un diverso, qualcuno direbbe un mostro (non sono spesso trattati così i diversi?), un uomo costretto a nascondersi e di conseguenza un uomo solo. Un uomo prigioniero del suo segreto. Un uomo alla ricerca di se stesso e della sua mattonella, il posto del mondo in cui è destinato a stare. Un uomo che si chiede cosa ha fatto della sua vita.
Daniel sin da piccolo comincia a cercare se stesso, a capire la sua natura e fa una cosa molto intelligente: diventa illusionista perché è l'unico modo che ha per essere se stesso. Tuttavia si percepisce un forte senso di solitudine che diventa quasi una ricerca necessaria. La diversità di Daniel può essere paragonata a una prigione senza porte? Lo è, come lo è ogni situazione in cui la vita ci costringe in un angolo da cui pare non ci sia uscita. Nel suo caso è anche peggio. La diversità di Daniel è unicità. Non esiste un altro uomo come lui. E la causa di quella unicità lo rende costretto in un segreto che non può raccontare, perché non può essere creduto o capito o accettato. Sembra una situazione senza via d'uscita, appunto. Ma la via di uscita esiste sempre, a volte estrema. E ha a che fare, nel suo caso, con lo scopo della sua vita e dei suoi poteri.
La vita di Daniel sembra un viaggio alla continua ricerca di risposte: chi è, perché ha quel potere, a cosa serve, chi è suo padre… senza spoilerare, - secondo te - Daniel poteva essere diverso, ovvero scegliere di non indagare la sua origine e sfruttare negativamente le sue facoltà? Daniel è di fatto onnipotente. E malgrado tutti noi consideriamo l'onnipotenza in senso positivo, perché la riferiamo a Dio, non lo è per forza. Significa solo poter fare tutto quello che si vuole. Tutto. In senso stretto. Creare e distruggere, considerando gli estremi. La scelta del Bene che fa Daniel è una scelta che ha un prezzo, il congelamento di ogni impulso per evitare di cedere a quelli negativi. Un autocontrollo feroce che applica in ogni momento della sua vita. Avrebbe potuto essere diverso? Sì, certo. Sarebbe stato anche più semplice. Ma avrebbe significato, per me che lo racconto, esplorare un territorio diverso da quello che avevo in mente.
Daniel è ateo e tra le persone, le pochissime persone cui si lega, c'è un prete, Padre Simone che forse è l'unica figura di cui Daniel ha davvero bisogno per guardare meglio dentro sé. Considerando che tra gli affetti di Daniel c'è Suor Anna, quando hai deciso di far "svelare" Daniel, perché hai pensato a un prete e non a una suora? Intanto, perché suor Anna, in quel momento della sua vita, non c'è. Poi perché Daniel ha bisogno di qualcuno a cui confessarsi e che non sappia nulla, nemmeno chi è nella vita pubblica. In ultimo perché a lui manca del tutto la figura paterna e un padre, nel senso religioso del termine, era la persona giusta. Oltre al fatto che sono i preti che confessano, giusto o sbagliato che sia.
Nel romanzo ci sono molte citazioni musicali. Quando scrivi, la musica si adatta alle parole o le parole si adattano alla musica? Scrivo in silenzio, quindi la musica non esiste nel mondo in cui batto sui tasti. Esiste, però, moltissimo nel mondo della storia e nella mia vita. Di solito accade per sbaglio. Ascolto una canzone e mi rendo conto che un verso potrebbe avere un significato. Oppure penso a che musica ascolterebbe il mio personaggio e provo ad ascoltarla. In questo romanzo la musica aveva anche una funzione cronologica. In una storia quasi senza tempo, gli anni della sua crescita dovevano per forza avere un contorno musicale, perché la generazione a cui appartiene a Daniel lo ha avuto e con grande importanza.
Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato nella stesura del romanzo?La figura di Cristo e il paradosso di un possibile Messia ateo sono state le maggiori. Era difficile affrontare la questione e farlo con naturalezza, senza che sembrasse artificioso, provocatorio o retorico. Di conseguenza il rapporto con Simone, che è al centro di questo punto, è stato molto complicato da scovare. Spero che sia sembrato naturale, il tentativo di un uomo che non sa nulla di sè, che cerca di risposte, di confrontarsi per la prima volta nella vita con il mistero della sua esistenza.
La struttura del romanzo è divisa in due: un plot in terza persona racconta la storia di Daniel piccolo, un plot in prima persona è il Daniel contemporaneo, che parla al lettore. Come mai hai adottato questa scelta? Questa storia, almeno in parte, si svolge nella testa del protagonista. I dubbi di Daniel adulto, le sue domande, le incertezze, le paure, la ricerca, lo sconforto, la rabbia. Tutto questo non poteva che essere raccontato in prima persona. Doveva essere lui a dirlo al lettore e il lettore doveva vivere nella sua testa, fra i suoi pensieri. Di contro, quindi, la parte da bambino doveva avere un narratore terzo, che raccontasse guardando da fuori, che accompagnasse il lettore tanto quanto l'altro lo immergeva.
Quali sono i progetti futuri di Patrick Fogli? Difficile da dire. Sono molto lento, prima di ricominciare a scrivere. Sto ragionando sul Male, è tutto quello che posso dire.
Grazie e buon lavoro
Luciana Fredella