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Arcigay Bat: «Si crei un dialogo con la Chiesa»

Lettera aperta dell’associazione a parroci, catechisti ed educatori. Tra omofobia ed eterofobia alla luce delle parole di Papa Francesco

Si torna a parlare di diritti della comunità Lgbtqi in seguito alle parole di Papa Francesco durante la conferenza stampa che ha chiuso la Giornata Mondiale della Gioventù. È l'Arcigay Bat ad approfondire l'argomento attraverso una lettera indirizzata a parroci, catechisti ed educatori che operano quotidianamente sul territorio della sesta provincia pugliese.

«L'occasione di questa lettera nasce alla luce delle parole di Papa Francesco in occasione della conferenza stampa di chiusura della Giornata Mondiale della Gioventù: "Chi sono io per giudicare un gay?". Al di là del fatto che il Pontefice abbia pronunciato questa frase in merito al caso legato all'esistenza di presunte lobby in Vaticano e a prescindere dalla posizione contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica sull'omosessualità, la maggioranza dei mass media ha dato ampio risalto a questa frase. Il motivo è molto probabilmente questo: le posizioni di un Papa sui matrimoni e le adozioni per coppie dello stesso sesso sono ben note; molto meno lo sono quelle circa il solo orientamento sessuale. I predecessori di Francesco forse non hanno avuto la fortuna di divulgare davanti alle televisioni e ai giornali di tutto il mondo questo pensiero, ma pensiamo agli effetti benefici che quella frase potrebbe avere su quei genitori che non riescono ad accettare i propri figli all'indomani del loro coming out. Il fenomeno non ha l'eco mediatica che meriterebbe, ma sono davvero tanti i ragazzi vittime di ostilità e nel peggiore dei casi maltrattati e cacciati di casa per via del loro orientamento sessuale».

«Naturalmente, la violenza psicologica e fisica nei confronti della comunità lgbtqi è molto più presente al di fuori del nucleo familiare di appartenenza. L'omofobia – come si legge nel comunicato prodotto dall'Associazione Arcigay della provincia Barletta-Andria-Trani - non ha mai smesso di mietere vittime, non ha mai smesso di agire indisturbata sul territorio nazionale. Questa settimana, due ragazzi di Sassari sono stati presi a calci e pugni, alla stazione di Roma Termini è stato rinvenuto il cadavere di una transessuale, due settimane fa quattro ragazzi sono stati presi a cinghiate all'uscita di una discoteca di Torino. L'elenco sarebbe lunghissimo. Allo stato attuale non esiste una legge capace di tutelare tale minoranza socio-culturale, diversamente da quanto accade per le minoranze religiose, etniche e linguistiche, tutelate invece dalla legge Reale-Mancino. Il ddl contro l'omofobia non più discusso questo mese nella sua stesura originaria prevedeva l'estensione di tale legge anche ai reati di stampo omofobo, ovvero con l'applicazione dell'art.3 sarebbe scattata un'aggravante. In parole povere, chi si fosse trovato ad aggredire un omosessuale avrebbe dovuto effettuare i lavori socialmente utili previsti per chi malmena un ebreo, un Testimone di Geova, un senegalese, un sardofono (ovvero chi parla il sardo). Oltre al carcere, si intende. Per ragioni prettamente di natura politica questa proposta di estensione è stata cassata, ma dal momento che il ddl verrà ridiscusso e approvato (?) a settembre è ancora tutto in alto mare».

«Per fermare questa scia di sangue basterebbe poco, ma sorprendentemente in un Paese civile come l'Italia si registra una contrarietà all'approvazione di questa legge, per diversi motivi. Ci sono onorevoli dichiaratamente cattolici che terrorizzano il proprio elettorato di riferimento paventando il rischio di un reato di opinione nel caso in cui questa legge venisse approvata. Ci sono politici che dichiarano il timore di finire in carcere qualora dovessero dire "Sono contrario ai matrimoni gay". In realtà non c'è nulla di più falso: l'omofobia non consiste nel pronunciarsi contrari ai matrimoni e alle adozioni gay. Questa casistica rientra nella semplice libertà di espressione, che è un diritto sacrosanto del cittadino: chi si pronuncia sfavorevole allo ius soli con rispettose argomentazioni è forse un razzista? Ci dissociamo completamente dalla vicenda di Franck Tralleu, multato in Francia per aver indossato una maglietta a favore della famiglia tradizionale. Il reato di opinione è piuttosto la considerazione dei gay alla stregua di malati o peggio ancora di pedofili. Per quanto riguarda la prima equiparazione, le malattie sono ben altre. E a fine mese nessuno di noi percepisce una pensione di invalidità (ci mancherebbe!). La seconda accusa non è meritevole nemmeno di un commento, ma ci sono stati parlamentari che hanno operato tale equazione. Crediamo che nessun etero si sentirebbe onorato nel sentirsi dare del "pedofilo" da qualcuno che nemmeno conosce e a cui per giunta paga un lauto stipendio, comprensivo di vitalizio. Infine, contribuire ad acuire questa paura con le carceri traboccanti di detenuti ha veramente del fantascientifico. A questi signori ci sentiamo di dire - chiedendo anticipatamente scusa per l'appropriazione indebita - "Non dire falsa testimonianza"».

«Addirittura, gli stessi onorevoli paventano il rischio di un'ondata di eterofobia nel caso in cui venisse approvato il ddl in questione: onestamente non ci risulta che qualcuno sia stato mai offeso o picchiato per via della sua eterosessualità. Sapete dove ha avuto luogo l'unica eccezione? In un cortometraggio chiamato Love is all you need: in un mondo interamente popolato da gay e lesbiche una coppia di giovani eterosessuali si trova a subire angherie di ogni tipo. Ma dubitiamo che questo tipo di obiezione sia stata dettata dalla visione di tale corto, peraltro noto solo negli Stati Uniti. La terza obiezione è questa: in quanto uguali a tutti gli altri, anche gli omosessuali oggetto di aggressione sono già tutelati dalla legge. Qui occorre cambiare il punto di vista: al di là della tutela delle vittime, si vuole colpire la discriminazione. Per fare un esempio, se un automobilista gay viene alle mani con un signore per un parcheggio in doppia fila, di certo il primo non può citare il secondo per omofobia (a meno che non scattino insulti inequivocabili). Se invece qualcuno di noi viene aggredito fisicamente all'uscita di una sede Arcigay o sta passeggiando col proprio partner al grido di "Muori, sodomita!" - per usare un eufemismo – allora il discorso è ben diverso. Non si discute il fatto che siamo cittadini come tutti gli altri, lo mettono in discussione i nostri potenziali aggressori. Quarta e ultima obiezione: questa legge ci porterà piano piano alle adozioni gay. Come dire, ci prenderemmo la mano per conquistare tutto il braccio. Ci sentiamo di respingere anche questa accusa. Questa è una battaglia per i diritti umani, non una strategia politica. Qualora dovessimo agire così saremmo degli sciacalli. E Arcigay non fa battaglie sulla pelle di chi si trova a quest'ora su un letto d'ospedale».

«Non neghiamo che raramente si sia costruito un dialogo con le istituzioni ecclesiastiche, ma è giunto il momento di gettare un ponte anche con chi la pensa diversamente da noi, di confrontarci su un tema sul quale occorreva fare chiarezza. In quanto rappresentanti della Chiesa cattolica sulla nostra provincia, vi chiediamo di vigilare su eventuali comportamenti che ledano la dignità dell'individuo. Noi crediamo fortemente in un comandamento che è "Ama il prossimo tuo come te stesso", un bellissimo regalo che Gesù Cristo ha lasciato all'umanità, un comandamento universale dell'amore. Crediamo inoltre che un dialogo con la Chiesa sia doveroso, in quanto tutti noi non viviamo in una immaginaria "Città dei Gay" e ci confrontiamo nella vita di tutti i giorni anche con i cattolici e gli uomini di Chiesa che abbiamo modo di frequentare per amicizia (o dobbiamo relazionarci in quanto nostri genitori!). Ebbene, da alcune di queste interrelazioni emerge spesso la contrarietà ai matrimoni gay in quanto i fedeli non vorrebbero mai che due omosessuali si potessero sposare in parrocchia. In compenso, emerge un favore pressoché unanime a eventuali matrimoni gay celebrati in Comune e alle unioni civili. Questa disinformazione in realtà è figlia di un Paese che legge poco e non viene informato abbastanza dai mass media».

«Cogliamo l'occasione per chiarire: Arcigay non chiede la concessione di un sacramento per le coppie dello stesso sesso, bensì il riconoscimento del matrimonio civile in uno Stato laico. Molti amici cattolici sollevano una gustosa obiezione di natura lessicale: "Ma il matrimonio è solo tra uomo e donna, lo sostiene la radice mater". Occorre cambiare la parola? Onestamente non saremmo d'accordo: la parità dei diritti passa anche attraverso le parole. E' ben noto ai linguisti che le parole subiscano inevitabilmente un loro spostamento semantico: per fare un esempio, sareste mai contrari all'ereditare il cospicuo patrimonio di una vostra nonna recentemente scomparsa solo perché la radice lessicale non rende giustizia al sesso di appartenenza della defunta?»

«Sarebbe davvero bello – chiosa il comunicato - avere delle occasioni di confronto con le istituzioni della Chiesa, da cui abbiamo potuto trarre i natali. Molti non lo sanno, ma la nostra associazione è stata fondata nel 1980 da don Marco Bisceglia allo scopo di tutelare i diritti della comunità. Abbiamo guardato con piacere alle parole del cardinal Martini favorevole alle unioni civili così come non dimenticheremo mai le battaglie di don Andrea Gallo. Quel che ci preme dire è che Arcigay non combatte la Chiesa perché contraria ai matrimoni gay, né mai le dichiarerà guerra. Arcigay combatte la discriminazione e l'odio nei confronti della comunità lgbtqi, vuole diffondere una cultura della conoscenza e della pace. La guerra si fa all'ignoranza, non alle persone».
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