Le lettere di Agata Pinnelli
Dal pianto all’Amore fecondo della Croce
La “Desolata”, una fede, una identità, una realtà viva
giovedì 25 aprile 2019
10.06
Sono passati solo alcuni giorni, ma l'eco della suggestiva melodia dell'Inno, che accompagna la processione della Vergine "Maria Desolata" della Parrocchia dei Santi Francesco e Biagio a Canosa di Puglia(BT), continua a risuonare, nei nostri cuori, puntando l'attenzione su "Maria", l'intermediaria tra Gesù e l'Umanità, l'anticipatrice della legge dell'Amore, che si concretizza in tutta la sua bellezza sulla Croce; una Donna che si prende cura di una Umanità "disorientata", portando nel cuore una incontenibile voglia di novità, di festa, di incontro con Dio nel progetto di salvezza, la cui ultima definitiva, insuperabile parola ce l'ha rivolta con Gesù ed in Lui è diventato manifesto. La Pasqua è il trionfo dell'Amore che rifeconda la voce del nostro cuore in un cammino di fede, di carità, di bellezza. Pertanto in un contesto di dolore e speranza condivisi, la processione della Desolata dà voce ad una tradizione secolare di fede, di commozione corale struggente, nonché di intima simbiosi con le sofferenze quotidiane, di cui ogni giorno ciascuno di noi porta il peso. Durante la processione della "Desolata" musica e testo letterario si fondono mirabilmente con la Parola divina di salvezza e l'inspiegabile crudità della sofferenza che accompagna la vita di ciascun uomo. Il testo letterario dell'Inno alla Desolata si rifà allo "Stabat Mater", in lingua latina, di Jacopone da Todi, il più originale poeta mistico del 200, una delle personalità più inquietanti della nostra civiltà letteraria. La sua lotta contro l'ideologia del potere e della ricchezza si presenta tragica e sfiduciata, il suo percorso si connota di eccessi, di contrasti, di disarmonie, di paradossi, senza che si giunga mai a scoprire un orizzonte rasserenante e positivo, come nel suo predecessore S. Francesco, in cui domina una concezione ottimistica della vita umana attraverso un rapporto armonioso dell'uomo con la natura, l'universo, Dio. La produzione che connota la sua religiosità profonda è rappresentata dalle "laudi". I temi trattati sono quelli della tradizione francescana: l'umiltà dell'uomo e delle cose finite rispetto alla grandezza di Dio; le tematiche centrali della fede cristiana, soprattutto l'Incarnazione e la Passione…
Egli pone al centro della sua rappresentazione poetica il dramma del dolore, della sofferenza umana di Maria, per cui la sua narrazione si sviluppa su due piani: il racconto della Passione di Cristo e quello del dolore della Madonna. L'originalità è proprio quella di aver assegnato al dolore della Vergine un'importanza così grande da metterlo in primo piano, mentre restano in qualche modo sullo sfondo le vicende dolorose di Cristo. Quindi Jacopone sceglie di rappresentare in Maria la Passione di Cristo, consapevole della verità teologica che Cristo può compiere la redenzione dal peccato originale solo sperimentando pienamente la condizione umana fino al limite estremo della sofferenza e della morte. Ciò diventa possibile con l'Incarnazione. Perciò ponendo al centro la Madonna, il poeta non fa altro che esaltare la natura incarnata di Cristo e puntando sul dolore umano della Vergine, fa della Passione un momento interamente vissuto da Cristo-uomo, cioè diventa un momento dell'Incarnazione. La Madonna diventa così il doppio terreno di Cristo con la sua sofferenza innocente e con la sua purezza perfetta e perciò degna di un rapporto di fusione con Dio; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione evangelica.
Risale alla tradizione francescana l'impulso a rappresentare l'aspetto umano e la sofferenza nel corpo di Cristo, valorizzando il ruolo della Madonna come "Mater dolorosa, desolata". Infatti fino al X secolo la Croce non rappresentava un supplizio, ma assumeva significati simbolici, come ad esempio "segno cosmico", "incrocio di spazio e tempo" (come riferimento all'intera creazione). Dopo il mille con la diffusione dell'arte gotica in Italia soprattutto con Cimabue e Giotto (secolo XIII) il corpo di Cristo acquista volume e movimento e sulla Croce compare un uomo, una vittima. La Passione di Cristo da astratto dolore simbolico diventa dramma umano, investendo i personaggi che vi assistono e dà un ruolo fondamentale alle figure femminili, Maria in primo piano e Maddalena. In questo contesto si inserisce lo "Stabat Mater", una delle composizioni latine più celebri di Jacopone che per la sua straordinaria umanità ha attraversato i secoli, fino a noi, nella comunità canosina, divenendo ovunque un canto molto amato non solo dai fedeli, ma anche da intere generazioni di musicisti colti, Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Lotti… La prima parte della preghiera è una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la Crocifissione e la Passione di Cristo; la seconda parte è una invocazione in cui l'orante chiede a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Lei stessa e dal Figlio durante il supplizio della morte innocente di Cristo. La versione in italiano del testo latino e quindi dell'Inno canosino è opera di Evasio Leone, come riporta il periodico bimestrale della parrocchia S. Antonio a Pagani, un carmelitano reggente di teologia, dottore del Collegio di Belle Arti della Regia Università di Torino. La prima edizione di questa traduzione dello Stabat Mater vide la luce a Torino nel 1787. Infatti il testo di Pagani, città legata a Canosa dalla figura del venerabile Padre Antonio Maria Losito, è lo stesso che viene cantato a Canosa durante la processione della Desolata.
Ancora oggi le note musicali e letterarie dello Stabat Mater continuano a richiamare tutti i fedeli, dal più grande al più piccolo, a commuoversi, ad incontrarsi, a partecipare, a immedesimarsi in un dolore, in una sofferenza che accomuna tutti durante il percorso di vita ed invita a vivere con fede, coraggio e dignità proprio come la Vergine Maria. Ma ciò che accompagna il venerato simulacro della Vergine, rendendo la processione particolarmente suggestiva, è l'Inno della Desolata, quale autentica colonna sonora, interpretata da un coro composto quest'anno da 380 giovani donne, vestite di nero, con il volto coperto, simbolo di compartecipazione al dolore di Maria, così come avveniva fino tempo fa nella tradizione popolare, quando le donne indossavano il fazzoletto nero sul capo come segno esterno di dolore per la perdita di una persona cara. E quel volto coperto quasi cela la loro identità che si esalta in un dolore comune ed universale, mentre si tengono per mano, "unite a catena", piangendo ed urlando attraverso le note struggenti del canto, accompagnato dalla banda cittadina. Le voci del coro fanno da cassa di risonanza al dolore muto della Vergine, che avanza ondeggiando e in maniera lenta, sì che l'immagine sacra sembra non essere fatta procedere per niente.
Donne,
accanto alla vita che nasce,
custodi del cammino,
sollecite al lamento di un sofferente,
incrollabili presenze nel duro passaggio,
al termine di questa vita.
Donne dietro e dentro le quali,
lavora in silenzio Maria,
radice della perseveranza
e della fecondità nel dolore,
madre
che accoglie Giovanni
e, in lui, tutti noi,
figli e figlie
da accompagnare
per l'eternità.
Per questo amore
perseverante e lacerato,
che genera continuamente
novità di vita,
ti rendiamo grazie, Signore.
Agata Pinnelli
Reportage fotografico a cura di Giulia Mazzarella e Pasquale Guerra
© Riproduzione riservata
Egli pone al centro della sua rappresentazione poetica il dramma del dolore, della sofferenza umana di Maria, per cui la sua narrazione si sviluppa su due piani: il racconto della Passione di Cristo e quello del dolore della Madonna. L'originalità è proprio quella di aver assegnato al dolore della Vergine un'importanza così grande da metterlo in primo piano, mentre restano in qualche modo sullo sfondo le vicende dolorose di Cristo. Quindi Jacopone sceglie di rappresentare in Maria la Passione di Cristo, consapevole della verità teologica che Cristo può compiere la redenzione dal peccato originale solo sperimentando pienamente la condizione umana fino al limite estremo della sofferenza e della morte. Ciò diventa possibile con l'Incarnazione. Perciò ponendo al centro la Madonna, il poeta non fa altro che esaltare la natura incarnata di Cristo e puntando sul dolore umano della Vergine, fa della Passione un momento interamente vissuto da Cristo-uomo, cioè diventa un momento dell'Incarnazione. La Madonna diventa così il doppio terreno di Cristo con la sua sofferenza innocente e con la sua purezza perfetta e perciò degna di un rapporto di fusione con Dio; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione evangelica.
Risale alla tradizione francescana l'impulso a rappresentare l'aspetto umano e la sofferenza nel corpo di Cristo, valorizzando il ruolo della Madonna come "Mater dolorosa, desolata". Infatti fino al X secolo la Croce non rappresentava un supplizio, ma assumeva significati simbolici, come ad esempio "segno cosmico", "incrocio di spazio e tempo" (come riferimento all'intera creazione). Dopo il mille con la diffusione dell'arte gotica in Italia soprattutto con Cimabue e Giotto (secolo XIII) il corpo di Cristo acquista volume e movimento e sulla Croce compare un uomo, una vittima. La Passione di Cristo da astratto dolore simbolico diventa dramma umano, investendo i personaggi che vi assistono e dà un ruolo fondamentale alle figure femminili, Maria in primo piano e Maddalena. In questo contesto si inserisce lo "Stabat Mater", una delle composizioni latine più celebri di Jacopone che per la sua straordinaria umanità ha attraversato i secoli, fino a noi, nella comunità canosina, divenendo ovunque un canto molto amato non solo dai fedeli, ma anche da intere generazioni di musicisti colti, Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Lotti… La prima parte della preghiera è una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la Crocifissione e la Passione di Cristo; la seconda parte è una invocazione in cui l'orante chiede a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Lei stessa e dal Figlio durante il supplizio della morte innocente di Cristo. La versione in italiano del testo latino e quindi dell'Inno canosino è opera di Evasio Leone, come riporta il periodico bimestrale della parrocchia S. Antonio a Pagani, un carmelitano reggente di teologia, dottore del Collegio di Belle Arti della Regia Università di Torino. La prima edizione di questa traduzione dello Stabat Mater vide la luce a Torino nel 1787. Infatti il testo di Pagani, città legata a Canosa dalla figura del venerabile Padre Antonio Maria Losito, è lo stesso che viene cantato a Canosa durante la processione della Desolata.
Ancora oggi le note musicali e letterarie dello Stabat Mater continuano a richiamare tutti i fedeli, dal più grande al più piccolo, a commuoversi, ad incontrarsi, a partecipare, a immedesimarsi in un dolore, in una sofferenza che accomuna tutti durante il percorso di vita ed invita a vivere con fede, coraggio e dignità proprio come la Vergine Maria. Ma ciò che accompagna il venerato simulacro della Vergine, rendendo la processione particolarmente suggestiva, è l'Inno della Desolata, quale autentica colonna sonora, interpretata da un coro composto quest'anno da 380 giovani donne, vestite di nero, con il volto coperto, simbolo di compartecipazione al dolore di Maria, così come avveniva fino tempo fa nella tradizione popolare, quando le donne indossavano il fazzoletto nero sul capo come segno esterno di dolore per la perdita di una persona cara. E quel volto coperto quasi cela la loro identità che si esalta in un dolore comune ed universale, mentre si tengono per mano, "unite a catena", piangendo ed urlando attraverso le note struggenti del canto, accompagnato dalla banda cittadina. Le voci del coro fanno da cassa di risonanza al dolore muto della Vergine, che avanza ondeggiando e in maniera lenta, sì che l'immagine sacra sembra non essere fatta procedere per niente.
Donne,
accanto alla vita che nasce,
custodi del cammino,
sollecite al lamento di un sofferente,
incrollabili presenze nel duro passaggio,
al termine di questa vita.
Donne dietro e dentro le quali,
lavora in silenzio Maria,
radice della perseveranza
e della fecondità nel dolore,
madre
che accoglie Giovanni
e, in lui, tutti noi,
figli e figlie
da accompagnare
per l'eternità.
Per questo amore
perseverante e lacerato,
che genera continuamente
novità di vita,
ti rendiamo grazie, Signore.
Agata Pinnelli
Reportage fotografico a cura di Giulia Mazzarella e Pasquale Guerra
© Riproduzione riservata