Primo Tricolore
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Eventi e cultura

Dove abita la storia: il giorno dei Fratelli d’Italia

Dalla Repubblica romana al canto degli italiani

Il 17 marzo si celebra la Giornata dell'Unità Nazionale, della Costituzione, dell'Inno e della Bandiera, istituita dalla Legge nr.22 del 23 novembre 2012, per ricordare la data della proclamazione del Regno d'Italia avvenuta nel 1861. Per l'occasione ripercorriamo alcune tappe fondamentali della singolare e gloriosa storia italiana.

"""I trasteverini hanno preso apertamente parte contro il clero ed è da prevedere che le numerose barricate ben costruite saranno difese. Improvvisamente c'è uno spirito di guerra fra il popolo addirittura incomprensibile""".
""" L'apparire di un nemico straniero ha fatto per la Repubblica ciò che finora non hanno potuto fare gli abusi del papato e la causa della libertà. Migliaia di persone da indifferenti si sono convertite in caldi e forti sostenitori della Repubblica: l'orgoglio nazionale si identifica con un governo, per rovesciare il quale, un nemico straniero ha invaso il loro paese e ogni giorno la decisione guadagna forza e si estende fino all'estrema difesa""".
""" Noi ci mettiamo in moto come cavalieri di ventura e cerchiamo un luogo dove ancora ci sia possibile salvare l'onore nostro sempre tradito""".
"""Noi non tradiamo mai le nostre promesse. …Abbiamo promesso di difendere, in esecuzione degli ordini dell'Assemblea e del popolo romano, la bandiera tricolore della Repubblica, l'onore del paese e la santità della capitale del mondo cristiano […]"""


Sono le testimonianze che mettono in luce la formazione della Repubblica Romana e la sua difesa del 48/49, che non piaceva assolutamente agli inglesi tanto che palesarono un tacito consenso all'intervento francese con l'auspicio della pace. I romani si prepararono alla sua difesa con un entusiasmo sorprendente. Infatti, gli osservatori stranieri, che avevano sempre fatto sapere ai loro governi che le vicende della Repubblica Romana si erano svolte in un clima di indifferenza, segnalarono che qualcosa era cambiato nell'atteggiamento popolare. Questa difesa è uno dei momenti più alti, coinvolgenti e romantici della nostra storia risorgimentale: qui c'è l'incontro tra il patriota repubblicano Garibaldi, il cavaliere della libertà e Mazzini, l'educatore instancabile della italianità nella coscienza popolare, luogo in cui sembra che il grande sogno diventi realtà. Insieme con gli altri patrioti si elabora una Costituzione all'epoca avanzatissima, applaudita da tutti i democratici d'Europa. Le premesse della Costituzione di oggi sono nella Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini, Garibaldi, Mameli, Manara, Ciceruacchio (Angelo Brunetti) e tutti coloro che avevano combattuto per fare della nostra città eterna non solo una Repubblica, ma il simbolo di quella che avrebbe dovuto essere l'Italia unita. Ci danno un esempio di vera politica democratica, capaci di appianare i dissidi interni ideologici per affrontare una resistenza eroica, insieme al merito di aver gridato all'Europa che a Roma combatteva tutta l'Italia dal Nord al Sud per difendere la sua capitale (anche un pugliese).

La Costituzione attuale è carica di valori risorgimentali di Unità, Democrazia, Indipendenza e Libertà. La prima parte, quella che parla dei diritti e delle libertà civili, prende largamente dalla Costituzione mazziniana della Repubblica Romana:
1) La sovranità è per diritto eterno del popolo;
2) Il popolo dello stato romano è costituito in repubblica romana;
3) La Repubblica colle leggi e le istituzioni concorre al miglioramento morale e materiale di tutti i cittadini;
4) Il regime democratico ha per regola l'uguaglianza, la libertà, la fraternità, non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita e di casta;
5) La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli, rispetta ogni nazionalità e propugna la nazionalità italiana, l'Italia come nazione nasce amica degli altri popoli …

In questo avvenimento echeggia con solennità quasi religiosa non disgiunta da una nota di consapevolezza orgogliosa il grido "Viva l'Italia", espressione oggi svuotata di memoria storica, di orgoglio nazionale, connotata ormai di sapore scherzoso, di retorica ridicola, dimenticando il suo significato intrinseco: l'Italia è una cosa seria, costruita e difesa da generazioni che vi hanno creduto sino alla fine, parendoci impossibile che siano esistiti uomini e donne per i quali l'Italia era un ideale, che valeva la vita e per cui "Viva l'Italia", furono le ultime parole.

"""… Da oggi io cesserò di essere un uomo di parte. Intendo essere il Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, fratello a tutti nell'amore di patria e nell'aspirazione costante alla libertà e alla giustizia. Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali "Viva l'Italia" […].
[ …] Ebbene io ritengo che noi potremo risalire la china se riusciremo a mantenere l'unità nazionale, se questa unità nazionale diventerà più forte del nostro paese [ …]. Io sono orgoglioso di essere cittadino italiano, ma mi sento anche cittadino del mondo [ …]. È con questo animo, quindi, giovani che mi rivolgo a voi: ascoltatemi, vi prego, non armate la vostra mano, armate il vostro animo di una fede vigorosa: sceglietela voi liberamente purché questa vostra scelta, presupponga il principio della libertà, perché se non presuppone il principio di libertà voi dovete respingerla""".


È il grido fiero della italianità e della libertà di un partigiano, Pertini, presidente della Repubblica, che insieme agli altri resistenti servì "a salvare la dignità italiana", a tenere viva la fiammella della libertà nella notte della dittatura e della guerra. Come tanti piccoli De Gaulle italiani, gli antifascisti – quelli eroici degli anni del consenso, ma pure coloro che il coraggio lo trovarono solo nella primavera del 45 – legittimarono il processo che ha portato alla democrazia, al ritorno dell'Italia nel consesso internazionale, alla vittoria della Repubblica. Oggi i momenti più nobili della nostra memoria storica di nazione unita, tra cui il Risorgimento e la Resistenza sono sottoposti a una revisione arrivando non alla costruzione della verità ma alla denigrazione o alla negazione; dobbiamo rifiutare l'uso strumentale della memoria, è un dovere per il cittadino responsabile e consapevole della propria identità personale, inserita nel contesto della Nazione di appartenenza, conoscere e raccontare il Risorgimento, la Resistenza come realmente furono: storia di popolo, storia della nascita e rinascita della Patria.

Il Risorgimento oggi non è di moda, non piace ad alcuni movimenti politici che fanno della disunità d'Italia la loro ragione sociale; non è mai piaciuto ai comunisti che a partire da Gramsci ne hanno sempre denunciato il carattere conservatore dal punto di vista sociale ed economico; non è mai piaciuto neppure ai cattolici dal momento che il papa difese con ogni mezzo il proprio potere temporale. Infinite sono le denigrazioni di cui i Padri della Patria sono stati oggetto. I leghisti che demoliscono Garibaldi, lo scrittore di successo del momento secondo cui "il Risorgimento fu una bellissima idea rovinata dai piemontesi"; il best – seller che comincia con il terrificante attacco: "Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto …"; il saggio su Gaeta intitolato "L'assedio che condannò l'Italia all'unità", come se l'unità fosse una sciagura; il regista che al cinema presenta i briganti come eroi …

Non fare la memoria dell'unità, voluta dal presidente della Repubblica Napolitano e istituita il 23.11.2012 come festività civile, rappresenta l'oblio di quanto è scritto sui due frontoni del Vittoriano "Patriae unitati - all'unità della Patria" e soprattutto "civium libertati – alla libertà dei cittadini". Oggi sempre si dimentica che il Risorgimento coincide per l'Italia con la fine dell'Antico Regime, delle monarchie assolute, delle servitù feudali, del foro ecclesiastico e l'inizio della lenta espansione delle libertà borghesi, della democrazia rappresentativa, dei diritti civili.
Forse c'è una componente mitica da sfatare, qualcosa di negativo che è stato compiuto, ma non ci si può rassegnare ad una visione così negativa del nostro passato e di noi stessi, occorre che impariamo a narrarci nella dimensione generazionale per ridiventare consapevoli e fieri della nostra identità. In realtà gli italiani che combatterono per l'unità d'Italia (uomini e donne) furono in larga parte coraggiosi e lungimiranti, ebbero fin da allora un'idea attualissima del nuovo paese che stavano disegnando, sacrificarono generosamente la loro esistenza e in molti casi la loro vita ad un ideale di stato democratico che nella sua compiuta realizzazione e nel suo banco di prova che fu la Grande Guerra collocò l'Italia a pieno titolo nel novero delle moderne nazioni europee con dignità.

Il Risorgimento è una storia in cui si mescolano tutte le realtà della vita: l'eroico e il grottesco, l'aulico e il ridicolo, amore e morte, tradimenti ed intrighi, battaglie e rivolte, l'esilio e il ritorno, rotte disastrose e clamorose sorprese; ci sono eroi sconosciuti, martiri il cui nome è completamente dimenticato, nobili ed analfabeti morti sul patibolo, in battaglia, in ospedali improvvisati, in carcere gridando quel Viva l'Italia che oggi ci fa ridere. E ci sono uomini che pur combattendosi l'un l'altro da nemici si sono alleati in nome della stessa causa: Mazzini, anche se era per una Repubblica, il suo, era un sogno che corrispondeva ad un ideale di autonomia e libertà del popolo italiano che li vedeva concretizzati nella Repubblica, ma questo non gli impediva di collaborare alla nascita di una nazione unita; i nostri giovani patrioti da Mazzini a Garibaldi, a Mameli e a tanti altri ebbero la grande forza, la coerenza di pagare il prezzo personale per realizzare un ideale comune, l'unità della Patria anziché far vincere la propria idea; non fecero prevalere la litigiosità sterile, ma una litigiosità di confronto e azione concreta, in una parola la collaborazione; un Cavour che del suo grande nemico seppe dire "Garibaldi ha reso all'Italia il più grande dei servizi che un uomo potesse offrirle: egli ha dato agli italiani fiducia in loro stessi e ha provato all'Europa che gli italiani sanno battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistarsi una Patria"; un Manara, l'aristocratico comandante lombardo dei bersaglieri, nella difesa della Repubblica Romana "Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il 48; affinché il nostro esempio sia efficace, dobbiamo morire".

Nella difesa della Repubblica Romana muore anche Goffredo Mameli, l'autore delle parole dell'inno nazionale italiano, musicato da Michele Novaro. "Una sera, - racconta Carlo Alberto Barrili, amico e biografo di Mameli, - ci si trovava a Torino con altri amici a casa del patriota Lorenzo Valerio; in quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite Ulisse Bolzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova e si volge al Novaro con un foglietto dicendogli che glielo mandava Goffredo. Il Novaro apre il foglietto, legge e si commuove. Gli chiedono tutti cos'è. << Una cosa stupenda>> e legge ad alta voce e solleva ad entusiasmo tutto il suo auditorio". Più tardi Barrili invita Novaro a parlare di quella sera fatale. """Io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i 27 anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato e non potevo star fermo. Mi misi al cembalo coi versi del Goffredo sul leggio e strimpellavo, assassinavo con le dita convulse quel povero strumento, sempre con gli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole, mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là senza neppure levarmi il cappello mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e per conseguenza anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno "Fratelli d'Italia".

Alcune fonti, dice il giornalista Aldo Cazzullo nel suo libro "Viva l'Italia", sostengono che il giovane Goffredo si sia appropriato di un testo scritto dall'anziano padre scolopio Atanasio Canata, priore del convento di Carcare, presso Savona, dove Mameli era di casa, aveva studiato e si rifugiava quando aveva guai con la polizia che lo sorvegliava. Padre Atanasio era patriota e poeta, impregnato delle idee di Gioberti che sognava di conciliare cattolicesimo e liberalismo. Infatti il nostro inno sostiene che "L'unione e l'amore/rivelano ai popoli/ le vie del Signore". Il verso "La Patria chiamò" conclude un'ode di padre Atanasio. Forse l'Inno di Mameli non sia stato del tutto suo. Ma tutto questo non ha importanza se pensiamo che fu Mameli a portare il canto degli italiani nella sua Genova, dove venne intonato per accogliere Carlo Alberto, poco amato, e spingerlo alla guerra contro l'Austria.

È Mameli a girare freneticamente l'Italia ovunque ci sia da combattere: ora è con i volontari di Bixio a Milano dove conosce Mazzini, ora affronta gli austriaci nell'alta Lombardia, ora è ad Ancona per invitare i marinai a partire in soccorso di Venezia, ora a Roma tra i volontari che difendono la città, e ovunque scrive poesie, odi e proclami. È lui a scrivere a Mazzini "Roma, Repubblica, venite". Diventa aiutante di campo di Garibaldi. E sulle mura di Roma viene ferito a morte in un assalto fuori Porta S. Pancrazio, colpito ad un ginocchio, la cui ferita fa infezione e nonostante l'amputazione la cancrena non può essere fermata e nel delirio dell'agonia continua a declamare versi. Mameli muore il 6 luglio 1849 mostrando che quelle parole "siam pronti alla morte", che oggi suonano così lontane dalla nostra sensibilità, non erano parole vane. Oggi riposa al Gianicolo accanto agli altri caduti per la difesa di Roma. Ricordiamoci che l'Italia è più di un'idea politica nata 153 anni fa, è un'idea molto più antica, trova il fulcro unificatore in quella grande Bellezza artistica, letteraria, paesaggistica, di vita quotidiana, di creatività lavorativa che da sempre ha fatto battere il nostro cuore di orgoglio nazionale, quella "Grande Bellezza" che ha fatto vincere il Premio Oscar in questi giorni insieme a tanti altri riconoscimenti. Questa è l'Italia da amare, da salvaguardare e da proiettare in un futuro sempre più a misura dell'uomo.
Agata Pinnelli.
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