Peppino Di Nunno
Peppino Di Nunno
Vita di città

Gli spigolatori di Canosa mangiavano in dialetto il “grano arso” di Puglia

Le quattro parole, che ho evocato in dialetto nel Convegno

Gli spigolatori di Canosa mangiavano in dialetto il "grano arso" di Puglia.

In un pomeriggio assolato d'Agosto, tra spighe di grano esposte in piazza Umberto I, in mostra con le falci della mietitura, si è svolto il Convegno di Puglia Tipica, promosso dalla Pro Loco di Canosa sul "Grano arso tra passato e futuro".
Sotto la volta artistica del Palazzo Casieri, affrescata nel 1903 dal pittore Gaetano Paloscia, nativo di Terlizzi e custodito in arte nel Museo Nazionale d'Abruzzo, Canosa ha ospitato le Istituzioni municipali e del territorio provinciale, le UNPLI di Puglia, le voci autorevoli di Associazioni, dell'Agronomia, del mondo imprenditoriale.
Incontro al mattino la Presidente della Pro Loco, Anna Maria Fiore, al lavoro nei preparativi nel palazzo Casieri e l'Assessore Pietro Basile, presso il Palazzo municipale, impegnato di Sabato a coordinare gli interventi organizzativi.
Facendo fatica a riportare nel Convegno il personale intervento, ho inteso in breve evocare le radici storiche del grano arso, nell'itinerario del dialetto, evocando dopo la citazione in Latino di Orazio sul "lapidosus panis" canosino, "le pène tùste", che noi mangiavamo nel 900 con "rèpe e pène cùtte".
Prima di essere un prodotto tipico, il grano arso era il grano dei poveri, con la farina ed il pane dei poveri. Senza questa radice storica, che dà dignità alla storia di un popolo, la spiga è una pianta senza radici. Riportiamo di seguito le quattro parole, che ho evocato in dialetto nel Convegno.
  • "Le grène jàrse"
Lo studio filologico del "grano arso", porta alla radice lessicale in dialetto del "grène jàrse", che a Canosa diventò anche un soprannome, "chìre di grène jàrse".
Erroneamente si usava denominare "farina di grano bruciato", mentre Puglia Tipica ha ben riproposto il lessico corrispondente alla radice linguistica dialettale.
  • "Li spuchelatéure"
Dopo essere nato il 5 giugno in casa, mentre mio padre mieteva il grano in campagna, ho partecipato da ragazzo con mio padre alla mietitura del grano, nel fondo della "Palata", sulle rive dell'Ofanto, fino a vegliare a tarda sera e con mio nonno Peppino, 'spigolatore' con noi a raccogliere le spighe cadute, ho conosciuto gli spigolatori braccianti che si apprestavano poi a raccogliere le spighe di grano.
Quasi sempre, dopo la bruciatura di notte delle stoppie di grano, i contadini poveri raccoglievano le spighe, dove i chicchi di grano venivano di fatto tostati, ricavandone la farina di "grano bruciato". La farina grezza veniva poi passata al setaccio con "la setélle"; ma non si continui a sbagliare la trascrizione in dialetto, omettendo la "e" semimuta, mentre io continuo "a fè le scòrze 'ngànne!" sul portale di www.canosaviva.it.
La ricerca storica si fa anche con le testimonianze orali e nei giorni scorsi ho raccolto la viva voce di un anziano, ze' Tonine Tomaselli, fruttivendolo dell'antica Piazza Colonna.
Sotto il torrido sole del Tavoliere delle Puglie, "gli spigolatori andavano da Canosa verso Foggia, restando per diversi giorni, e poi c'era la fatica ad ammagghiuchè le grène", facendo una trebbiatura a mano.
"Me ne andava al mattino a spigolare", scrive il poeta Luigi Mercantini nel 1857, nella poesia risorgimentale dell'Unità d'Italia, "La spigolatrice di Sapri", ma oggi, la presidente della Pro Loco, Annamaria Fiore si è fatta a Canosa "la spigolatrice di Puglia", presentata dalla brava Francesca Lombardi in veste bucolica.
In seguito nel 900, la gastronomia casereccia e industriale ha riscoperto il valore e le qualità del grano tostato in maniera controllata e abbiamo gustato "li strascenète de grène jàrse", "la fecàzze de grène jàrse", che vengono prodotte oggi anche a casa mia, dalle mani di mia moglie Elena, giungendo anche nei sapori dell'Oratorio estivo e della Canonica della Cattedrale di San Sabino.
  • "Le pène a presùtte".
La terza parola evocata in dialetto e trascurata, riguarda il "pane a prosciutto", citato in Wikipedia con un'immagine errata, che riporta una pagnotta di grano scuro.
Mia madre Rosetta novantenne e la nonna Rosetta Massa, facevano il pane a prosciutto, come ricordo con li occhi e nel sapore, intrecciando ad un 'cingolo' di pasta di grano duro, un cingolo più piccolo di farina di grano arso, che veniva intrecciato e non mescolato, dando poi al pane sfornato e affettato l'aspetto di una fetta di… prosciutto.
Già, perché "quando eravamo povera gente", come scrive nel 900 Cesare Marchi, il prosciutto non veniva comprato, né mangiato, sulla tavola del popolo, ma si mangiava il "pane a prosciutto" con il grano arso.
Vorrei suggerire al bravo imprenditore premiato nel Convegno, l'amico canosino Margiotta, di fare ed esporre nelle tende d'Italia il "pane a prosciutto" canosino.
  • "U cafè d'ùrsce".
La quarta parola evocata nelle radici storiche del grano arso, nel passato, riguarda un cereale dimenticato dalla nostra società consumistica, con le sue proprietà toniche, antinfiammatorie, depurative, benefiche: l'Orzo, l'Hordeum apprezzato già dal tempo degli Antichi Romani.
Ma l'orzo veniva coltivato nei nostri campi e diventava "orzo arso", precursore della tecnica moderna del grano arso.
Infatti ricordo i chicchi di orzo, che mio padre portava in casa e che venivano portati al forno di quartiere, da Gìne u furnere (Masotina), in via Agnello Moscatelli, per essere tostati. A casa con il macinino di ferro, venivano macinati dalle mie mani e poi dalla mamma al mattino, diventavano il "caffè d'orzo".
Oggi non va dato solo agli ammalati in Ospedale, ma ai bambini sani, al mattino a colazione. Anche l'orzo tostato, è una bevanda fresca e salutare, calda d'inverno e fresca d'estate.
Esprimiamo il nostro plauso al Convegno e all'iniziativa di Puglia Tipica a Canosa, apprezzando il pensiero della Presidente Fiore della Pro Loco, che accanto ai Trulli di Alberobello, a Castel del Monte, ad altri monumenti storici della Puglia, ha ben richiamato la Pugliesità che passa anche per i sentieri di Canosa.
Aggiungo, come storico locale, che la "Pugliesità" non sta solo nella nostra terra, "antiqua Mater", ma nel nostro DNA, nel nostro stesso nome, che figura tra i pochi Comuni della Puglia, come "CANOSA DI PUGLIA", in Italiano, ma anche nelle radici storiche in Latino di "Canusium Apuliae", già dal IV secolo tra romanità e cristianità.
Voglia il Signore, Padre Nostro del "panem nostrum cotidianum", benedire anche il grano arso dei poveri contadini di ieri, delle tavole del 900 delle nostre famiglie, della nostra Puglia Tipica canosina di oggi in festa.
Ho salutato il Convegno, auspicando come maestro di scuola al servizio e non in servizio, che venga più valorizzata la presenza della Scuola in questi itinerari culturali, perché i primi imprenditori sono gli educatori, dove anche la Storia del grano arso si fa maestra di vita.
Complimenti a tutti gli organizzatori dell'iniziativa con Canosa in vetrina!
Ho stralciato in anteprima, sviluppandolo, lo studio del grano arso, dal personale saggio storico e letterario sul dialetto canosino, in fase di ultimazione, 'coltivato' fra i campi e a Scuola dal 1972, senza alzare la mano e ora 'acciottolato' nel corso di tre anni.

Dedico un verso a Puglia Tipica del 2014 a Canosa.
Quando il giorno d'affanno si fa scuro / il pane arso, io vi assicuro / fa bene tra passato e futuro.

maestro Peppino Di Nunno (stylus magistri).
Canosa di Puglia, 29 giugno 2014
Puglia Tipica 2Puglia Tipca 3Peppino Di Nunno 1La spigolatrice di Canosa
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