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Storia

Dove abita la Storia: La conquista del Sud dopo la proclamazione del Regno

La ricerca della verità

Come sempre in ogni movimento culturale, storico, tra cui anche il Risorgimento, non sempre gli uomini seppero essere in pubblico e in privato all'altezza del loro ruolo. Ma non si può leggere la sua storia limitatamente ai suoi aspetti meno nobili, o peggio ancora, inputargli il genocidio culturale e non solo delle popolazioni del Mezzogiorno. Verrebbe meno la funzione della storia come "Maestra di vita" perché il passato, memoria del nostro divenire, non deve ridursi in rammarico o in oblio di quanto poco o di sbagliato è stato compiuto, ma occorre saper cogliere nelle strade percorse un insegnamento che guidi il pensiero a compiere quella "Operazione di verità", come afferma il giornalista Paolo Mieli, a proposito del brigantaggio, essenziale per poter ripartire con fierezza liberata a costruire un presente e un futuro migliore. Raggiunta l'Unità, il brigantaggio, che cominciò a diffondersi dal Molise alla Calabria, alla Puglia, non era il risultato soltanto della miseria, quanto dei mali lasciati in eredità dal governo borbonico, quali l'ignoranza, la superstizione e la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia, insieme ai metodi sbagliati, inutili, terribili utilizzati dal governo unitario per sopprimere il disagio meridionale. Il dramma che ancora pesa sul nostro paese è di aver trattato le popolazioni meridionali senza comprenderle e con maniere forti, con migliaia di persone trucidate selvaggiamente. "In sostanza, il Mezzogiorno – secondo la riflessione dello storico liberale Ruggero Moscati – era stato pronto a sacrificarsi per l'unità in uno slancio di entusiasmo generoso, ma riluttava ora a divenire una provincia, e constatava come i suoi miraggi di una floridezza economica si risolvessero almeno per il momento in un impoverimento".

Questo conflitto rifletteva la sorpresa, la rabbia e l'indignazione dei piemontesi di fronte ad una società permeata di costumi e tradizioni che apparivano primitivi ed incomprensibili. "Il brigantaggio – descrive infatti nell'inchiesta parlamentare il deputato Massari – è una vera guerra, anzi è la peggiore sorta di guerra che possa immaginarsi, è la lotta tra la barbarie e la civiltà, - anche se poi aggiunge - esso è sintomo di un male profondo e antico; la prima causa è la condizione sociale, lo stato economico del campagnolo, che in quelle province è assai infelice". Fra le conclusioni di maggior interesse la relazione mostra che il brigantaggio era più debole là dove le condizioni di lavoro erano più soddisfacenti e suggeriva come rimedio a lunga scadenza di affrontare lo stato di miseria e di ignoranza con una serie di riforme che portassero la libertà e il benessere. Vi fu ferocia da ambo le parti e vi fu soprattutto una totale incomunicabilità. Un più attento esame del fenomeno avrebbe sicuramente permesso ai "torinesi" di capire che i "briganti" erano troppi per essere soltanto dei fuorilegge e che se i briganti seppero conquistare intere zone che loro chiamavano "zone liberate" e tenerle per molto tempo, ciò non sarebbe stato possibile senza il consenso delle popolazioni locali. "Molti cittadini, scrive lo storico Denis Mack Smith, pur non partecipando essi stessi al brigantaggio, consideravano i briganti come combattenti legittimi nell'eterna guerra contro i proprietari terrieri ed un governo eccessivamente lontano, quasi straniero. Agli occhi dei contadini il brigante diventava qualcosa di diverso, un essere fantastico, il vendicatore dei torti da loro subiti; perciò il contadino era pronto a dare cibo, informazioni e ospitalità a uomini di tal fatta. Quando comparivano i soldati, i malfattori nascondevano il fucile dietro una siepe, prendevano una zappa e si mettevano a lavorare con gli altri nei campi".

"Sarebbe come – afferma Mieli – se l'esercito entrasse oggi in un paese ad alta densità mafiosa e i soldati uccidessero i cittadini, stuprassero le donne, dessero fuoco alle abitazioni, atti che non si giustificherebbero anche in un paese dominato dalla mafia. Certamente i briganti non erano popolo, ma dobbiamo ricordare che i capi partigiani erano definiti "banditi" dai tedeschi e se questi avessero vinto la guerra, oggi la Resistenza sarebbe considerata come un episodio di "banditismo". Ci furono dei criminali fra i briganti, ma il fenomeno fu più ampio e l'azione del governo unitario fu quella di un paese che non capì che la questione andava risolta politicamente e non con quattro anni di guerra civile". Lo Stato appena costituito era considerato con diffidenza, se non peggio da alcuni paesi europei, e il governo voleva terminare il più rapidamente possibile la conquista del Sud. Infatti, negli anni seguenti all'annessione, quando gli storici cominciarono a costruire le varie tappe del Risorgimento, la guerra contro il brigantaggio finì ai margini del racconto: un brutto capitolo che nessuno aveva voglia di rievocare lasciando aperte differenze ed incomprensioni. Il giudizio cominciò a cambiare dopo la seconda guerra mondiale, quando alcuni studiosi della sinistra vollero vedere in quel fenomeno un'anticipazione primitiva delle lotte popolari del XX secolo. Poi sopraggiunse con le nostalgie borboniche degli ultimi decenni il mito del Sud prospero, felice, ben governato e progredito di cui i piemontesi si sarebbero brutalmente impadroniti. E così alla fine di questo percorso revisionistico la guerra al brigantaggio divenne l'equivalente italiano della guerra civile che negli stessi anni si combatteva negli Stati Uniti tra il Nord e il Sud, richiedente quest'ultimo la separazione. "A differenza nostra – scrive Mieli – gli americani seppero riconoscere che il Sud era pieno di brava gente, che era un territorio articolato e complesso che andava riassorbito nella storia del paese. Noi cominciamo solo adesso a farlo. Dobbiamo avere la forza di riconoscere che nel Mezzogiorno c'è stato qualcosa che i nostri progenitori non compresero. I piemontesi definivano il Sud come Africa, parlavano dei meridionali come persone immorali e sudice. L'operazione di verità che la storia ci obbliga a fare per sanare ferite ancora aperte, ci porta a concludere senza ombra di dubbio che quelli erano pregiudizi orribili, alimentati anche dal risentimento di molti esuli meridionali verso il precedente governo e che formarono un sentimento non adatto a risolvere la questione del Sud. Il Mezzogiorno aveva una storia, una civiltà pari a quella del Regno di Sardegna e in certi aspetti, lo dico da milanese, anche superiore. Trattare come Africa un paese che viene annesso ed usare il filo delle armi è qualcosa che oggi va condannato come un crimine ed un fraintendimento".

Fatta l'unità è rimasta nelle comunità italiane un senso di appartenenza con riserva allo stato unitario non solo nel Sud, ma anche nei genovesi, nei veneti, nei toscani … Questa riserva va sconfitta. Ed è proprio in una Italia pervasa dal mal di patria dove il tema stesso dell'unità del paese era sempre oggetto di discussione e una crisi profonda sembrava attraversare le istituzioni, gli italiani anziché riunirsi in un sistema politico che garantisse a tutti la prospettiva dell'alternanza, andavano ripescando nella soffitta dei loro ricordi tutte le antinomie che avevano spaccato il paese nel corso della sua storia: Nord e Sud, fascismo e antifascismo, Resistenza e Salò, comunismo e anticomunismo, guelfi e ghibellini. Allora il presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, preoccupato dalla piega che stava prendendo la politica italiana, cercò di restaurare il sentimento nazionale servendosi di strumenti ed argomenti Risorgimentali: la Resistenza come ultima guerra d'indipendenza, il tricolore, l'inno di Mameli, la parata del 2 giugno, gli omaggi al Milite Ignoto. E cercò di convincere i suoi connazionali che tutti i combattenti della seconda guerra mondiale, anche quando erano in campi opposti, avevano nel cuore la stessa Patria. Perciò oggi dovremmo riflettere che non è vantaggioso rifiutare il passato glorioso e non della costruzione dello Stato unitario, ma dobbiamo specchiarci in noi stessi e ripercorrere le tappe che ci hanno condotto fin qui; a volte può essere difficile e poco gratificante, ma non necessariamente privo di orgoglio.
Agata Pinnelli.


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