Crepuscolo letterario di Luciana Fredella
La scrittura per combattere il cancro “bastardo”…
Luana Troncanetti presenta Carmen
domenica 26 agosto 2018
7.55
Nata ad aprile scorso, la rubrica "Crepuscolo Letterario" di Canosaweb, cresce e si arricchisce di nuovi contenuti tesi a promuovere la lettura e al contempo far conoscere scrittori, generi letterari e le variegate sfaccettature della cultura. In questo incontro abbiamo conversato con Luana Troncanetti, autrice di Carmen per Amazon 2017 e la ringraziamo per non aver solo risposto alle nostre domande ma per averci raccontato di sé. "Grazie a lei per avermele proposte, è un piacere poter rispondere alle sue domande", risponde Luana Troncanetti, romana che ama spaziare dalla scrittura ironica al noir. Ha partecipato a numerose raccolte per Giulio Perrone; contribuito all'antologia Hai voluto la carrozzina? per Fabbri Editori; scritto umorismo per Comix, Homo Scrivens e Cento Autori; pubblicato Le mamme non mettono mai i tacchi - antiguida al mestiere di mamma. Fra le sue opere su Amazon: Silenzio e Agrodolce (già pubblicato nel 2016 da L'Erudita - Giulio Perrone editore). È fra gli scrittori che hanno contribuito alla Staffetta Letteraria Bimed 2017/2018, un meraviglioso progetto di narrazione collettiva che coinvolge studenti di ogni ordine e grado in storie scritte a più mani. Finalista al Premio Corti e brevi (2016) e al Fabrizio Canciani (2015), ha vinto il Tifeo Web Narrativa on line (2009), il Premio Massimo Troisi - Sezione scrittura comica (2009) e il Donna sopra le Righe con Carmen (2016). Sempre nel 2016, Carmen riceve una menzione d'encomio al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti e arriva, nel 2017, fra i venticinque finalisti del Premio Zeno. Nel 2017 Silenzio - quinto al Premio Terra di Guido Cavani - vince il Premio Internazionale Amarganta. Nel 2018 ottiene una menzione d'onore al Premio Residenze Gregoriane e nell'estate dello stesso anno il racconto "Il gatto che non è proprio mio" riceve una menzione d'onore al Premio Letterario La Tridacna e risulta fra le migliori quattro opere (non vincitrici) al Premio Cavallari di Pizzoli.
Con la vittoria dell'ottava edizione del concorso letterario Donna Sopra le Righe con Carmen, nel 2016, il brano viene inserito nell'omonima antologia pubblicata da Edizioni Argonautiche e, pochi mesi dopo, trasformato in una pubblicazione indipendente su Amazon per dare maggiore visibilità a due ONLUS che da molti anni sono vicine alle donne affette da tumore al seno: Associazione Iosempredonna e Associazione Italiana Tumore al Seno Metastatico – Noi ci siamo. Avere un cancro vuol dire vivere disperatamente una speranza di vittoria. È un male che fa perdere la testa, eppure se ne parla ancora troppo poco. Luana Troncanetti in Carmen parla di "incontri". Ebbene, quando io ho "incontrato" Luana, era uscita una raccolta di racconti noir frutto di un concorso letterario promosso dal blog Thriller Cafè per la promozione di scrittori emergenti: Delitti al Thriller Cafè è il titolo dell'antologia e la vincitrice del concorso è stata la Troncanetti con OFF. Il suo modo di scrivere e i contenuti mi hanno conquistata e l'ho contattata pensando che fosse un'esordiente. Mi sono invece imbattuta in una vera e propria scrittrice e, quando le ho chiesto di segnalarmi cos'altro potessi leggere di suo, non ho fatto alcuna fatica a fidarmi dei suoi consigli. Mi ha detto di iniziare con Carmen e mi son beccata un bel "pugno nello stomaco". Carmen è una ragazza di 20 anni con un "bastardo" (come lo chiama l'autrice) al seno che conosce Grazia, la deuteragonista del racconto, che è al reparto di oncologia dell'ospedale in veste di accompagnatrice della mamma. Tra Carmen e Grazia nasce una bella storia che lascerà un segno "emotivo" molto forte nel lettore.
Come già anticipato , il libro Carmen, nasce da un "incontro" che ha segnato la sua vita, poiché, come dice nella postfazione, le ha "regalato il coraggio che stava perdendo". Paolo Coelho ha scritto che le persone vengono nella tua vita per una ragione. Quanto ha cambiato la sua vita quell'incontro? Ha cambiato la mia visione dell'ingiustizia, è stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Con un padre in fin di vita, ricoverato dall'altra parte della città e un suocero che sarebbe morto appena due mesi dopo di lui, affrontavo un doppio dolore. Avevo un figlio ancora piccolo da gestire, le distanze immense di Roma a complicare il tutto. Io piango di rabbia per le sciocchezze del quotidiano, ma di fronte a situazioni davvero complesse so mantenere il controllo. Mi dico che non posso permettermi lacrime o stanchezza, anestetizzo corpo e sentimenti, mi stampo un bel sorriso sulle labbra e vado avanti fino allo stremo delle forze. Io e mio padre non abbiamo abbandonato la nostra capacità -inconcepibile per molti- di scherzare su un argomento tabù come la morte. Mai, neppure nei momenti più tragici. Papà ha voluto sapere tutto, io non gli ho nascosto nulla. Mai ha sperato nella salvezza, eppure non ha smesso di lottare. Proprio come me. Il giorno in cui ho incontrato Carmen, però, insonne da chissà quanti giorni e inviperita dall'impossibilità di salvare almeno il decoro di mio padre - in certi ospedali lo perdi totalmente - ho sentito che stavo crollando. Di colpo, come se qualcuno avesse interrotto la corrente che mi teneva in piedi. Una ventenne con tutti i segni del tumore addosso mi ha detto "fatti coraggio", spendendo per una sconosciuta un accoramento e una serenità strazianti. Mi sono sentita una vigliacca. Io, che il coraggio potrei venderlo a pallet, temevo di non riuscire più a reggere quei ritmi. Di scoppiare in lacrime di fronte a mio padre, l'avrebbe ucciso prima del tempo. Di cedere sotto a un peso insostenibile, insomma. Io, sana e forte, in quel momento ho avuto paura. Quella ragazzina aveva un quarto degli anni dell'uomo che stavo perdendo. Per giustizia d'età non poteva subire anche lei quel destino orrendo, eppure ha regalato nuova forza a me. Non mi ha cambiato la vita in senso stretto, me l'ha salvata ridimensionando il mio dolore. Mi ha scossa da un'apatia che non potevo concedermi, neppure per pochi minuti. Ho ripreso a prendermi cura di papà senza crollare mai. E' successo più avanti, quando ha smesso di soffrire.
Quando ho cominciato a leggere il racconto, sono rimasta colpita dalla domanda di Carmen "Per chi sei qui?" perché di solito la domanda ricorrente è "come mai sei qui?". Ma Grazia sta bene ed è evidente e in un reparto di oncologia probabilmente chi sta bene stona, mi passi il termine. Si è mai sentita in colpa per il semplice fatto di "star bene"? Mi sono sentita spesso impotente e furiosa, oltre che privilegiata per il fatto di essere sana. Non ho potuto far nulla per gli affetti che ho perso a causa del cancro, se non esserci il più possibile. Ho provato ogni volta un senso di colpa assurdo, ora che ci ripenso a mente fredda. Nessun amore, anche il più feroce, può sostituirsi a un medico o a Dio, per chi ci crede.
La mamma di Grazia è ricoverata ma diventa la scusa per Grazia di poter vedere Carmen. I malati di cancro spesso vedono diradarsi le visite dei parenti e degli amici, forse per paura, forse per imbarazzo o disagio. È davvero tanto difficile stare vicino ad una persona affetta dal bastardo? Difficilissimo, per questo in troppi si affannano a cercare qualcosa di "appropriato" da dire o da fare. Non trovandolo, diradano i contatti con il malato. E' proprio quella forzatura che complica le cose, non esiste il dovere di fare la cosa giusta. Ascoltare, accogliere lacrime e anche sorrisi o estemporanei sragionamenti tacendo commenti banali non è da tutti. Un abbraccio silenzioso è spesso l'unica cosa sensata da fare. Splendida è la naturalezza, quella funziona sempre. Proporre in concreto di fare qualcosa e non, genericamente, offrirsi di fare "qualsiasi" cosa. Suona di circostanza, di empatia grossolana. Piccole cose pratiche come andare insieme a ritirare le analisi, fare la spesa in tandem perché tanto ti tocca comunque e almeno vi fate compagnia, ribaltare la situazione cercando sempre di dire che è lui/lei che accompagna te (al cinema, a teatro, a una gita non troppo stancante, semplicemente a fare due passi ché oggi c'è un bel sole) e non il contrario. Proporre attività da fare insieme, finché possibile, e non sostituirsi alla persona malata è un'accortezza potente. Scegliere con cura l'approccio chiedendo, per esempio "ti va di accompagnarmi?" e non "ce la fai a?" accorcia la distanza fra sano e malato. Non esistono comportamenti adeguati in senso assoluto, bisogna avere la prontezza di capire necessità che mutano in modo repentino. Saper anche rispettare il bisogno di solitudine, non imporre la propria presenza. E' molto complicato. Si rischia di sbagliare, ma non ha importanza: sono errori perdonabili, è abbandonare un malato per paura che non ammette scuse. Osare suscitare sorrisi, addirittura risate a gola piena. E' possibilissimo, basta saper cogliere l'attimo propizio. Io l'ho fatto, tante volte, sia con mio padre che con un'amica che ho perso neppure due mesi fa. Le faceva bene. I mille sguardi imbarazzati con quei "poverina…" sottointesi, invece, la umiliavano. Anche sentirsi dire che era una rompicoglioni dalla nascita, non per colpa del cancro, era utile. Glielo ripetevo spesso, si ribaltava dalle risate. La faceva sentire viva, era essenziale per lei che qualcuno non la trattasse come una bambolina di cristallo. Ricordarle con tatto, pregi e difetti a prescindere dalla malattia e farla sorridere il più possibile. Accogliere le tempeste dei suoi attimi cupi senza mai dirle bestialità quali "ti capisco". Almeno con lei ha funzionato. Altri, la maggioranza purtroppo, isolano il malato nel timore di contagiarsi di tristezza, di scoppiare a piangere davanti a un volto scarno, di rivivere dolori già provati, di subire gli effetti collaterali delle radiazioni (incredibile ma esiste anche questo pregiudizio). Chi si sottopone a chemioterapia non può trasmettere nessun raggio dannoso, qualche precauzione va presa per chi è sotto radio terapia. In ogni caso, a stabilire la necessità di un isolamento nelle ore successive al trattamento dev'essere un medico, e non le leggende popolari. Addirittura leggere una pubblicazione come Carmen genera paura, è un atteggiamento che ho riscontrato più volte e che mi addolora molto. Mi fa rabbia, considerate le sue finalità che non si limitano al sostegno economico delle due associazioni: Carmen è corredato da due prefazioni scritte dalle presidentesse delle Onlus allo scopo di illustrare le loro attività. Nel suo minuscolo, rappresenta un veicolo di informazione aggiuntiva. E' difficile, certo, affrontare un argomento come il tumore e "maneggiare" un malato. E' difficile soprattutto per chi ha già perso qualcuno per colpa del bastardo. Però non esistono persone più forti, è l'attitudine all'azione che magari fa la differenza. Io il mio coraggio me lo sono costruito spazzando via la paura, non l'ho ricevuto in dono. La prima volta in cui ho avuto a che fare con un malato di tumore avevo soltanto quattordici anni. Ho cercato di fare del mio meglio. Comunque, ho fatto qualcosa.
La vitalità e il coraggio di Carmen si percepiscono come naturali, spontanei e forse proprio per questo suscitano attrazione in Grazia. Secondo lei queste caratteristiche possono rappresentare una difesa emotiva alla malattia, ovvero un escamotage del cervello per allontanare la paura di non farcela? Sono difese essenziali come la capacità, non comune, di ironizzare sulla malattia. E' una sorta di esorcismo alla paura e funziona egregiamente. Non garantiscono la guarigione, questo è lapalissiano. Aiutano a migliorare la qualità della vita e, in diversi casi, a rispondere meglio alle terapie.
Il libro da lei auto pubblicato su Amazon ha una finalità molto importante. Ci può parlare delle due ONLUS, cui va il ricavato della vendita del libro? La prima associazione è Iosempredonna, costituita nel 1997 e impegnata nella diffusione di informazioni corrette e aggiornate sul tumore del seno. Ho conosciuto la sua presidentessa, Pinuccia Musumeci, durante la cerimonia di premiazione del concorso Donna sopra le righe. Quell'evento splendido è una delle sue tante iniziative. E' improprio definirlo "competizione letteraria", vincitore è chiunque trovi il coraggio di raccontarsi e non chi sa usare in modo più efficace la penna. "Scrittura terapeutica", è così che la definisce Andrea Camilleri, da sempre presidente onorario del concorso giunto ormai alla sua decima edizione. Il giorno successivo alla premiazione ho assistito a un meeting dove le protagoniste erano le metastatiche. Avevo sempre associato le metastasi alla morte immediata, o quasi. Non è esattamente così. Si può restare per anni in una situazione di stallo certamente complicata e dolorosa, ma comunque vivere. Mimma Panaccione, fondatrice di Noi ci siamo, spiccava in un gruppo di relatrici che raccontavano la loro lunga convivenza con il tumore armate di una forza, un'ironia, una naturalezza spiazzanti. Ho ancora la sua risata nelle orecchie mentre mi parlava, con un'energia incredibile, dei suoi progetti in una lunga telefonata che le ho fatto una settimana dopo il nostro incontro. Mimma è stata sopraffatta dal tumore il 17 novembre di un anno fa. Ma non ha vinto lui; è stato solo il più cattivo, non il più forte. L' Associazione Italiana Tumore al Seno Metastatico - Noi ci siamo, che combatte per accendere i riflettori sugli oltre trentamila malati metastatici in Italia, è la seconda Onlus a cui devolvo tutti i proventi di Carmen. Il suo scopo è quello di migliorare la qualità della vita di persone che subiscono una particolare condizione non solo clinica, ma anche psicologica e sociale che le vede emarginate e costrette alla solitudine.
Si discute molto sul riconoscimento dell'eutanasia come trattamento ai malati terminali o a coloro che scelgono di non sottoporsi all'accanimento terapeutico. Quando è morto suo padre le ha detto: "Non è possibile, cazzo, Dio ti ringrazio". Secondo lei, chi vive accanto a chi ha perso la dignità della vita, può comprendere la libertà di scegliere l'eutanasia quando la speranza lascia il posto alla certezza della morte? Le reazioni di chi assiste all'agonia finale di una persona amata sono antitetiche. Posso rispondere per quanto riguarda me: considero l'eutanasia come un atto d'umanità, una scelta inappellabile di fronte a una sofferenza che si trasforma in non vita. Se mio padre avesse potuto chiedermi di abbreviare la sua sofferenza, io non avrei esitato un istante a rispettare la sua volontà.
Luana so che lei è in fase creativa. Può anticiparci qualcosa sul suo nuovo lavoro? Ho un'opera breve scritta di pancia circa diciotto mesi fa. Aveva suscitato l'interesse di una splendida casa editrice ma presenta problematiche da ovviare: la foliazione scarsa, poco più di cento pagine, e l'inadeguatezza di una delle due protagoniste. La sua voce è troppo debole, se comparata alla potenza narrativa dell'altra. Devo trovare il modo di equilibrare le parti. Sto lavorando a un'altra idea che mi frulla in mente da un po', misurarmi con il tema è complicato perché necessita di una corposa documentazione medica e storica. Intanto sto facendo le ricerche, poi proverò a trasformarlo in un romanzo. A "tempo perso" (rido), vorrei riprendere in mano il sequel di Silenzio, sono ferma alle prime venti pagine. Se non riesco a lavorare sui romanzi per assenza di tempo (praticamente sempre) o penuria di idee, allora creo racconti. Ne ho appena scritti un paio che mi sembrano discreti. Sono la mia dimensione preferita, mi sento a mio agio nello spazio ristretto delle ventimila battute. Contraddico una convinzione supportata da molti, bravissimi romanzieri: scrivere storie circoscritte a poche cartelle sarebbe più complicato. Per me, invece, l'autentica sfida sono le (almeno) duecento pagine. Incollare l'attenzione del lettore così a lungo e fare in modo che riceva il meglio possibile richiede tempo e concentrazione di cui al momento non dispongo.
Quando ha pensato che da grande voleva fare la scrittrice? Mai pensato, da piccola sognavo di disegnare. Racconto storie da appena dieci anni, mi diverte definirmi "scrittrice a scoppio ritardato". Ho iniziato per caso, adesso non riesco più a smettere.
Cosa sta leggendo in questo periodo? Nell'ultimo mese ho fatto il pieno di ottimi romanzi: L'arminuta della Di Pietrantonio, La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco, La figlia maschio di Patrizia Rinaldi, Le case del malcontento di Sacha Naspini, Il buio dentro di Antonio Lanzetta. Sul comodino adesso ho un romanzo di Piera Carlomagno, Intrigo a Ischia. Scrittura molto elegante mista a un'ironia che rende questo giallo davvero godibile.
Grazie mille Luana, anche a nome della Redazione di Canosaweb e grazie per questo breve ma intenso racconto d'amore che ci ha regalato. Grazie a lei per averlo apprezzato. Carmen va oltre la scrittura, per me è sempre una gioia avere l'occasione di parlarne.
Luciana Fredella
Con la vittoria dell'ottava edizione del concorso letterario Donna Sopra le Righe con Carmen, nel 2016, il brano viene inserito nell'omonima antologia pubblicata da Edizioni Argonautiche e, pochi mesi dopo, trasformato in una pubblicazione indipendente su Amazon per dare maggiore visibilità a due ONLUS che da molti anni sono vicine alle donne affette da tumore al seno: Associazione Iosempredonna e Associazione Italiana Tumore al Seno Metastatico – Noi ci siamo. Avere un cancro vuol dire vivere disperatamente una speranza di vittoria. È un male che fa perdere la testa, eppure se ne parla ancora troppo poco. Luana Troncanetti in Carmen parla di "incontri". Ebbene, quando io ho "incontrato" Luana, era uscita una raccolta di racconti noir frutto di un concorso letterario promosso dal blog Thriller Cafè per la promozione di scrittori emergenti: Delitti al Thriller Cafè è il titolo dell'antologia e la vincitrice del concorso è stata la Troncanetti con OFF. Il suo modo di scrivere e i contenuti mi hanno conquistata e l'ho contattata pensando che fosse un'esordiente. Mi sono invece imbattuta in una vera e propria scrittrice e, quando le ho chiesto di segnalarmi cos'altro potessi leggere di suo, non ho fatto alcuna fatica a fidarmi dei suoi consigli. Mi ha detto di iniziare con Carmen e mi son beccata un bel "pugno nello stomaco". Carmen è una ragazza di 20 anni con un "bastardo" (come lo chiama l'autrice) al seno che conosce Grazia, la deuteragonista del racconto, che è al reparto di oncologia dell'ospedale in veste di accompagnatrice della mamma. Tra Carmen e Grazia nasce una bella storia che lascerà un segno "emotivo" molto forte nel lettore.
Come già anticipato , il libro Carmen, nasce da un "incontro" che ha segnato la sua vita, poiché, come dice nella postfazione, le ha "regalato il coraggio che stava perdendo". Paolo Coelho ha scritto che le persone vengono nella tua vita per una ragione. Quanto ha cambiato la sua vita quell'incontro? Ha cambiato la mia visione dell'ingiustizia, è stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Con un padre in fin di vita, ricoverato dall'altra parte della città e un suocero che sarebbe morto appena due mesi dopo di lui, affrontavo un doppio dolore. Avevo un figlio ancora piccolo da gestire, le distanze immense di Roma a complicare il tutto. Io piango di rabbia per le sciocchezze del quotidiano, ma di fronte a situazioni davvero complesse so mantenere il controllo. Mi dico che non posso permettermi lacrime o stanchezza, anestetizzo corpo e sentimenti, mi stampo un bel sorriso sulle labbra e vado avanti fino allo stremo delle forze. Io e mio padre non abbiamo abbandonato la nostra capacità -inconcepibile per molti- di scherzare su un argomento tabù come la morte. Mai, neppure nei momenti più tragici. Papà ha voluto sapere tutto, io non gli ho nascosto nulla. Mai ha sperato nella salvezza, eppure non ha smesso di lottare. Proprio come me. Il giorno in cui ho incontrato Carmen, però, insonne da chissà quanti giorni e inviperita dall'impossibilità di salvare almeno il decoro di mio padre - in certi ospedali lo perdi totalmente - ho sentito che stavo crollando. Di colpo, come se qualcuno avesse interrotto la corrente che mi teneva in piedi. Una ventenne con tutti i segni del tumore addosso mi ha detto "fatti coraggio", spendendo per una sconosciuta un accoramento e una serenità strazianti. Mi sono sentita una vigliacca. Io, che il coraggio potrei venderlo a pallet, temevo di non riuscire più a reggere quei ritmi. Di scoppiare in lacrime di fronte a mio padre, l'avrebbe ucciso prima del tempo. Di cedere sotto a un peso insostenibile, insomma. Io, sana e forte, in quel momento ho avuto paura. Quella ragazzina aveva un quarto degli anni dell'uomo che stavo perdendo. Per giustizia d'età non poteva subire anche lei quel destino orrendo, eppure ha regalato nuova forza a me. Non mi ha cambiato la vita in senso stretto, me l'ha salvata ridimensionando il mio dolore. Mi ha scossa da un'apatia che non potevo concedermi, neppure per pochi minuti. Ho ripreso a prendermi cura di papà senza crollare mai. E' successo più avanti, quando ha smesso di soffrire.
Quando ho cominciato a leggere il racconto, sono rimasta colpita dalla domanda di Carmen "Per chi sei qui?" perché di solito la domanda ricorrente è "come mai sei qui?". Ma Grazia sta bene ed è evidente e in un reparto di oncologia probabilmente chi sta bene stona, mi passi il termine. Si è mai sentita in colpa per il semplice fatto di "star bene"? Mi sono sentita spesso impotente e furiosa, oltre che privilegiata per il fatto di essere sana. Non ho potuto far nulla per gli affetti che ho perso a causa del cancro, se non esserci il più possibile. Ho provato ogni volta un senso di colpa assurdo, ora che ci ripenso a mente fredda. Nessun amore, anche il più feroce, può sostituirsi a un medico o a Dio, per chi ci crede.
La mamma di Grazia è ricoverata ma diventa la scusa per Grazia di poter vedere Carmen. I malati di cancro spesso vedono diradarsi le visite dei parenti e degli amici, forse per paura, forse per imbarazzo o disagio. È davvero tanto difficile stare vicino ad una persona affetta dal bastardo? Difficilissimo, per questo in troppi si affannano a cercare qualcosa di "appropriato" da dire o da fare. Non trovandolo, diradano i contatti con il malato. E' proprio quella forzatura che complica le cose, non esiste il dovere di fare la cosa giusta. Ascoltare, accogliere lacrime e anche sorrisi o estemporanei sragionamenti tacendo commenti banali non è da tutti. Un abbraccio silenzioso è spesso l'unica cosa sensata da fare. Splendida è la naturalezza, quella funziona sempre. Proporre in concreto di fare qualcosa e non, genericamente, offrirsi di fare "qualsiasi" cosa. Suona di circostanza, di empatia grossolana. Piccole cose pratiche come andare insieme a ritirare le analisi, fare la spesa in tandem perché tanto ti tocca comunque e almeno vi fate compagnia, ribaltare la situazione cercando sempre di dire che è lui/lei che accompagna te (al cinema, a teatro, a una gita non troppo stancante, semplicemente a fare due passi ché oggi c'è un bel sole) e non il contrario. Proporre attività da fare insieme, finché possibile, e non sostituirsi alla persona malata è un'accortezza potente. Scegliere con cura l'approccio chiedendo, per esempio "ti va di accompagnarmi?" e non "ce la fai a?" accorcia la distanza fra sano e malato. Non esistono comportamenti adeguati in senso assoluto, bisogna avere la prontezza di capire necessità che mutano in modo repentino. Saper anche rispettare il bisogno di solitudine, non imporre la propria presenza. E' molto complicato. Si rischia di sbagliare, ma non ha importanza: sono errori perdonabili, è abbandonare un malato per paura che non ammette scuse. Osare suscitare sorrisi, addirittura risate a gola piena. E' possibilissimo, basta saper cogliere l'attimo propizio. Io l'ho fatto, tante volte, sia con mio padre che con un'amica che ho perso neppure due mesi fa. Le faceva bene. I mille sguardi imbarazzati con quei "poverina…" sottointesi, invece, la umiliavano. Anche sentirsi dire che era una rompicoglioni dalla nascita, non per colpa del cancro, era utile. Glielo ripetevo spesso, si ribaltava dalle risate. La faceva sentire viva, era essenziale per lei che qualcuno non la trattasse come una bambolina di cristallo. Ricordarle con tatto, pregi e difetti a prescindere dalla malattia e farla sorridere il più possibile. Accogliere le tempeste dei suoi attimi cupi senza mai dirle bestialità quali "ti capisco". Almeno con lei ha funzionato. Altri, la maggioranza purtroppo, isolano il malato nel timore di contagiarsi di tristezza, di scoppiare a piangere davanti a un volto scarno, di rivivere dolori già provati, di subire gli effetti collaterali delle radiazioni (incredibile ma esiste anche questo pregiudizio). Chi si sottopone a chemioterapia non può trasmettere nessun raggio dannoso, qualche precauzione va presa per chi è sotto radio terapia. In ogni caso, a stabilire la necessità di un isolamento nelle ore successive al trattamento dev'essere un medico, e non le leggende popolari. Addirittura leggere una pubblicazione come Carmen genera paura, è un atteggiamento che ho riscontrato più volte e che mi addolora molto. Mi fa rabbia, considerate le sue finalità che non si limitano al sostegno economico delle due associazioni: Carmen è corredato da due prefazioni scritte dalle presidentesse delle Onlus allo scopo di illustrare le loro attività. Nel suo minuscolo, rappresenta un veicolo di informazione aggiuntiva. E' difficile, certo, affrontare un argomento come il tumore e "maneggiare" un malato. E' difficile soprattutto per chi ha già perso qualcuno per colpa del bastardo. Però non esistono persone più forti, è l'attitudine all'azione che magari fa la differenza. Io il mio coraggio me lo sono costruito spazzando via la paura, non l'ho ricevuto in dono. La prima volta in cui ho avuto a che fare con un malato di tumore avevo soltanto quattordici anni. Ho cercato di fare del mio meglio. Comunque, ho fatto qualcosa.
La vitalità e il coraggio di Carmen si percepiscono come naturali, spontanei e forse proprio per questo suscitano attrazione in Grazia. Secondo lei queste caratteristiche possono rappresentare una difesa emotiva alla malattia, ovvero un escamotage del cervello per allontanare la paura di non farcela? Sono difese essenziali come la capacità, non comune, di ironizzare sulla malattia. E' una sorta di esorcismo alla paura e funziona egregiamente. Non garantiscono la guarigione, questo è lapalissiano. Aiutano a migliorare la qualità della vita e, in diversi casi, a rispondere meglio alle terapie.
Il libro da lei auto pubblicato su Amazon ha una finalità molto importante. Ci può parlare delle due ONLUS, cui va il ricavato della vendita del libro? La prima associazione è Iosempredonna, costituita nel 1997 e impegnata nella diffusione di informazioni corrette e aggiornate sul tumore del seno. Ho conosciuto la sua presidentessa, Pinuccia Musumeci, durante la cerimonia di premiazione del concorso Donna sopra le righe. Quell'evento splendido è una delle sue tante iniziative. E' improprio definirlo "competizione letteraria", vincitore è chiunque trovi il coraggio di raccontarsi e non chi sa usare in modo più efficace la penna. "Scrittura terapeutica", è così che la definisce Andrea Camilleri, da sempre presidente onorario del concorso giunto ormai alla sua decima edizione. Il giorno successivo alla premiazione ho assistito a un meeting dove le protagoniste erano le metastatiche. Avevo sempre associato le metastasi alla morte immediata, o quasi. Non è esattamente così. Si può restare per anni in una situazione di stallo certamente complicata e dolorosa, ma comunque vivere. Mimma Panaccione, fondatrice di Noi ci siamo, spiccava in un gruppo di relatrici che raccontavano la loro lunga convivenza con il tumore armate di una forza, un'ironia, una naturalezza spiazzanti. Ho ancora la sua risata nelle orecchie mentre mi parlava, con un'energia incredibile, dei suoi progetti in una lunga telefonata che le ho fatto una settimana dopo il nostro incontro. Mimma è stata sopraffatta dal tumore il 17 novembre di un anno fa. Ma non ha vinto lui; è stato solo il più cattivo, non il più forte. L' Associazione Italiana Tumore al Seno Metastatico - Noi ci siamo, che combatte per accendere i riflettori sugli oltre trentamila malati metastatici in Italia, è la seconda Onlus a cui devolvo tutti i proventi di Carmen. Il suo scopo è quello di migliorare la qualità della vita di persone che subiscono una particolare condizione non solo clinica, ma anche psicologica e sociale che le vede emarginate e costrette alla solitudine.
Si discute molto sul riconoscimento dell'eutanasia come trattamento ai malati terminali o a coloro che scelgono di non sottoporsi all'accanimento terapeutico. Quando è morto suo padre le ha detto: "Non è possibile, cazzo, Dio ti ringrazio". Secondo lei, chi vive accanto a chi ha perso la dignità della vita, può comprendere la libertà di scegliere l'eutanasia quando la speranza lascia il posto alla certezza della morte? Le reazioni di chi assiste all'agonia finale di una persona amata sono antitetiche. Posso rispondere per quanto riguarda me: considero l'eutanasia come un atto d'umanità, una scelta inappellabile di fronte a una sofferenza che si trasforma in non vita. Se mio padre avesse potuto chiedermi di abbreviare la sua sofferenza, io non avrei esitato un istante a rispettare la sua volontà.
Luana so che lei è in fase creativa. Può anticiparci qualcosa sul suo nuovo lavoro? Ho un'opera breve scritta di pancia circa diciotto mesi fa. Aveva suscitato l'interesse di una splendida casa editrice ma presenta problematiche da ovviare: la foliazione scarsa, poco più di cento pagine, e l'inadeguatezza di una delle due protagoniste. La sua voce è troppo debole, se comparata alla potenza narrativa dell'altra. Devo trovare il modo di equilibrare le parti. Sto lavorando a un'altra idea che mi frulla in mente da un po', misurarmi con il tema è complicato perché necessita di una corposa documentazione medica e storica. Intanto sto facendo le ricerche, poi proverò a trasformarlo in un romanzo. A "tempo perso" (rido), vorrei riprendere in mano il sequel di Silenzio, sono ferma alle prime venti pagine. Se non riesco a lavorare sui romanzi per assenza di tempo (praticamente sempre) o penuria di idee, allora creo racconti. Ne ho appena scritti un paio che mi sembrano discreti. Sono la mia dimensione preferita, mi sento a mio agio nello spazio ristretto delle ventimila battute. Contraddico una convinzione supportata da molti, bravissimi romanzieri: scrivere storie circoscritte a poche cartelle sarebbe più complicato. Per me, invece, l'autentica sfida sono le (almeno) duecento pagine. Incollare l'attenzione del lettore così a lungo e fare in modo che riceva il meglio possibile richiede tempo e concentrazione di cui al momento non dispongo.
Quando ha pensato che da grande voleva fare la scrittrice? Mai pensato, da piccola sognavo di disegnare. Racconto storie da appena dieci anni, mi diverte definirmi "scrittrice a scoppio ritardato". Ho iniziato per caso, adesso non riesco più a smettere.
Cosa sta leggendo in questo periodo? Nell'ultimo mese ho fatto il pieno di ottimi romanzi: L'arminuta della Di Pietrantonio, La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco, La figlia maschio di Patrizia Rinaldi, Le case del malcontento di Sacha Naspini, Il buio dentro di Antonio Lanzetta. Sul comodino adesso ho un romanzo di Piera Carlomagno, Intrigo a Ischia. Scrittura molto elegante mista a un'ironia che rende questo giallo davvero godibile.
Grazie mille Luana, anche a nome della Redazione di Canosaweb e grazie per questo breve ma intenso racconto d'amore che ci ha regalato. Grazie a lei per averlo apprezzato. Carmen va oltre la scrittura, per me è sempre una gioia avere l'occasione di parlarne.
Luciana Fredella