
La politica come impegno per un ideale
Il tema dell'incontro al Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini
mercoledì 27 agosto 2025
9.20
iReport
«Chiedo scusa». Con queste parole, inconsuete per un giornalista, Nicola Imberti, caporedattore del quotidiano Domani e moderatore dell'incontro , ha aperto il dibattito "La politica come impegno per un ideale" al Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini svoltosi il 25 agosto scorso. «Spesso noi giornalisti – ha ammesso – abbiamo contribuito a raccontare la politica come qualcosa di sporco, corrotto, distante. In realtà la politica è anzitutto costruzione, non semplice gestione di potere. È tempo di tornare a parlarne come di un luogo dove si costruisce il bene comune». A confrontarsi su questo tema tre voci molto diverse: Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d'Italia; Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi Sinistra; e Marcos Zerbini, fondatore dell'Associação dos Trabalhadores Sem Terra di San Paolo (Brasile), con una lunga esperienza di impegno popolare per il diritto alla casa.
La prima a intervenire è stata l'onorevole Elisabetta Piccolotti, che ha ribaltato la visione della politica come parentesi o mestiere. «Per me – ha detto – la politica non è una carriera, non è una parentesi, non è solo attività istituzionale. È un modo di stare al mondo, una scelta di apertura all'altro, un cammino per il bene comune. È l'arte di organizzare le persone intorno a idee di cambiamento e di progresso». Piccolotti ha denunciato l'indebolimento dei partiti, «troppo concentrati sulla comunicazione e poco sulla costruzione dal basso», e ha ricordato come i media spesso riducano la politica a scontro di personalità. «Invece la politica è sempre frutto di comunità, di relazioni, di creatività sociale diffusa. Non è la narrazione dell'"uomo solo al comando", ma la capacità di trovare soluzioni insieme». Rivendicando una visione comunitaria, ha evocato Aristotele e anche don Luigi Giussani: «L'essere umano è animale politico perché non esiste felicità individuale senza felicità condivisa. Lo diceva Aristotele e lo diceva Giussani. L'individualismo non è soluzione: occorre riscoprire la dimensione collettiva come punto di partenza».
Di segno diverso, ma animato dalla stessa passione, l'intervento di Giovanni Donzelli. Dopo aver ringraziato i volontari del Meeting («So cosa significa organizzare eventi: qui c'è una comunità viva, questa è politica»), ha dato la sua definizione: «La politica è intrapresa e comunità. Intrapresa perché è farsi carico di ciò che non va per cambiarlo. Comunità perché non si fa per sé stessi ma per gli altri. È la più alta forma di volontariato». Donzelli ha ricordato le sue origini familiari di sinistra e la conversione politica durante Tangentopoli: «Scoprii che il Movimento Sociale era l'unico partito non coinvolto nelle tangenti, e che Paolo Borsellino da giovane aveva militato nel Fronte universitario di destra. Iniziai a chiedermi se i confini tra bene e male fossero davvero così netti». Determinante l'incontro con i ragazzi di Comunione e Liberazione all'università: «Una studentessa mi disse: "Se non ti piace quello che vedi, non sopportarlo: impegnati per cambiarlo". È lì che ho capito che la politica era assumersi la responsabilità di migliorare le cose». Per Donzelli il nodo della disaffezione politica risiede anche nella mancata coerenza: «Troppo spesso in Italia si è detto una cosa in campagna elettorale e se ne è fatta un'altra al governo. Per riconquistare la fiducia bisogna tornare a mantenere la parola data. Piaccia o no, la coerenza è la base della democrazia».
La testimonianza di Marcos Zerbini ha portato i presenti in un contesto radicalmente diverso: le favelas di San Paolo, Brasile. «Non ho mai pensato di fare politica – ha raccontato –. Ho iniziato come giovane di parrocchia, insegnando a leggere agli adulti. Poi ho incontrato famiglie minacciate di sgombero. Non erano più "i poveri", ma persone con nomi e volti: Caetano, Gonzalo, Maria…». Con la moglie Cleusa fondò negli anni '80 l'Associação dos Trabalhadores Sem Terra, scegliendo una via originale: non occupare terre abusivamente, ma acquistarle collettivamente a prezzi accessibili, per garantire dignità e legalità. «Scoprimmo che il vero problema non era solo la terra, ma le infrastrutture: strade, acqua, luce, scuole. Per questo abbiamo dovuto entrare in dialogo con la politica». Dopo anni di promesse mancate, nel 2000 la comunità lo spinse a candidarsi. Fu eletto, e in pochi anni migliaia di famiglie ottennero servizi e case dignitose. «Oggi – ha spiegato – oltre 40.000 famiglie hanno terreni grazie a questa esperienza. La politica non è un concetto astratto: è risposta concreta ai bisogni delle persone». Zerbini ha concluso con una nota personale: «Molti perdono i loro ideali entrando in politica. Io ho avuto la grazia di una compagnia: mia moglie Cleusa, i miei amici, l'incontro con don Giussani e la Compagnia delle Opere. La politica, per me, è strumento di bene comune, perché nasce da un legame d'amore».
Una parte consistente del dibattito ha riguardato la crescente distanza dei cittadini dalla politica. Per Piccolotti, la causa è «la costruzione sistematica del nemico» che alimenta violenza sociale: «Migranti, centri sociali, categorie intere vengono dipinti come criminali. Ma la politica non può reggersi sul nemico. Deve essere incontro tra diversi, riconoscimento delle storie altrui, non esclusione». Per Donzelli, invece, la sfiducia deriva soprattutto dalla incoerenza dei governi e dalla velocità della comunicazione: «Oggi tutto si riduce a uno slogan sui social. Ma senza coerenza tra parole e fatti non c'è fiducia. Per questo il compito di chi governa è fare esattamente ciò che ha promesso». Zerbini ha raccontato la sua esperienza come rappresentante dell'amministrazione di San Paolo: «All'inizio c'erano critiche feroci. Poi ho iniziato a convocare mensilmente leader di quartiere e associazioni. Ascoltare, spiegare, decidere insieme. Le critiche sono diventate dialogo, le persone hanno capito meglio i limiti e le possibilità della politica. L'altro, anche quando contesta, è un bene per me».
Imberti ha chiuso ringraziando gli ospiti per aver mostrato un modo diverso di raccontare la politica che spesso viene vista solo come momento elettorale: «Dalle vostre testimonianze emerge che la politica non è solo elezioni o Parlamento, ma nasce dall'impegno di ciascuno. Non è un deserto, ma un cantiere in cui, con mattoni nuovi, si costruisce bene comune. La prima politica è vivere: e questo lo avete mostrato con i vostri racconti».
La prima a intervenire è stata l'onorevole Elisabetta Piccolotti, che ha ribaltato la visione della politica come parentesi o mestiere. «Per me – ha detto – la politica non è una carriera, non è una parentesi, non è solo attività istituzionale. È un modo di stare al mondo, una scelta di apertura all'altro, un cammino per il bene comune. È l'arte di organizzare le persone intorno a idee di cambiamento e di progresso». Piccolotti ha denunciato l'indebolimento dei partiti, «troppo concentrati sulla comunicazione e poco sulla costruzione dal basso», e ha ricordato come i media spesso riducano la politica a scontro di personalità. «Invece la politica è sempre frutto di comunità, di relazioni, di creatività sociale diffusa. Non è la narrazione dell'"uomo solo al comando", ma la capacità di trovare soluzioni insieme». Rivendicando una visione comunitaria, ha evocato Aristotele e anche don Luigi Giussani: «L'essere umano è animale politico perché non esiste felicità individuale senza felicità condivisa. Lo diceva Aristotele e lo diceva Giussani. L'individualismo non è soluzione: occorre riscoprire la dimensione collettiva come punto di partenza».
Di segno diverso, ma animato dalla stessa passione, l'intervento di Giovanni Donzelli. Dopo aver ringraziato i volontari del Meeting («So cosa significa organizzare eventi: qui c'è una comunità viva, questa è politica»), ha dato la sua definizione: «La politica è intrapresa e comunità. Intrapresa perché è farsi carico di ciò che non va per cambiarlo. Comunità perché non si fa per sé stessi ma per gli altri. È la più alta forma di volontariato». Donzelli ha ricordato le sue origini familiari di sinistra e la conversione politica durante Tangentopoli: «Scoprii che il Movimento Sociale era l'unico partito non coinvolto nelle tangenti, e che Paolo Borsellino da giovane aveva militato nel Fronte universitario di destra. Iniziai a chiedermi se i confini tra bene e male fossero davvero così netti». Determinante l'incontro con i ragazzi di Comunione e Liberazione all'università: «Una studentessa mi disse: "Se non ti piace quello che vedi, non sopportarlo: impegnati per cambiarlo". È lì che ho capito che la politica era assumersi la responsabilità di migliorare le cose». Per Donzelli il nodo della disaffezione politica risiede anche nella mancata coerenza: «Troppo spesso in Italia si è detto una cosa in campagna elettorale e se ne è fatta un'altra al governo. Per riconquistare la fiducia bisogna tornare a mantenere la parola data. Piaccia o no, la coerenza è la base della democrazia».
La testimonianza di Marcos Zerbini ha portato i presenti in un contesto radicalmente diverso: le favelas di San Paolo, Brasile. «Non ho mai pensato di fare politica – ha raccontato –. Ho iniziato come giovane di parrocchia, insegnando a leggere agli adulti. Poi ho incontrato famiglie minacciate di sgombero. Non erano più "i poveri", ma persone con nomi e volti: Caetano, Gonzalo, Maria…». Con la moglie Cleusa fondò negli anni '80 l'Associação dos Trabalhadores Sem Terra, scegliendo una via originale: non occupare terre abusivamente, ma acquistarle collettivamente a prezzi accessibili, per garantire dignità e legalità. «Scoprimmo che il vero problema non era solo la terra, ma le infrastrutture: strade, acqua, luce, scuole. Per questo abbiamo dovuto entrare in dialogo con la politica». Dopo anni di promesse mancate, nel 2000 la comunità lo spinse a candidarsi. Fu eletto, e in pochi anni migliaia di famiglie ottennero servizi e case dignitose. «Oggi – ha spiegato – oltre 40.000 famiglie hanno terreni grazie a questa esperienza. La politica non è un concetto astratto: è risposta concreta ai bisogni delle persone». Zerbini ha concluso con una nota personale: «Molti perdono i loro ideali entrando in politica. Io ho avuto la grazia di una compagnia: mia moglie Cleusa, i miei amici, l'incontro con don Giussani e la Compagnia delle Opere. La politica, per me, è strumento di bene comune, perché nasce da un legame d'amore».
Una parte consistente del dibattito ha riguardato la crescente distanza dei cittadini dalla politica. Per Piccolotti, la causa è «la costruzione sistematica del nemico» che alimenta violenza sociale: «Migranti, centri sociali, categorie intere vengono dipinti come criminali. Ma la politica non può reggersi sul nemico. Deve essere incontro tra diversi, riconoscimento delle storie altrui, non esclusione». Per Donzelli, invece, la sfiducia deriva soprattutto dalla incoerenza dei governi e dalla velocità della comunicazione: «Oggi tutto si riduce a uno slogan sui social. Ma senza coerenza tra parole e fatti non c'è fiducia. Per questo il compito di chi governa è fare esattamente ciò che ha promesso». Zerbini ha raccontato la sua esperienza come rappresentante dell'amministrazione di San Paolo: «All'inizio c'erano critiche feroci. Poi ho iniziato a convocare mensilmente leader di quartiere e associazioni. Ascoltare, spiegare, decidere insieme. Le critiche sono diventate dialogo, le persone hanno capito meglio i limiti e le possibilità della politica. L'altro, anche quando contesta, è un bene per me».
Imberti ha chiuso ringraziando gli ospiti per aver mostrato un modo diverso di raccontare la politica che spesso viene vista solo come momento elettorale: «Dalle vostre testimonianze emerge che la politica non è solo elezioni o Parlamento, ma nasce dall'impegno di ciascuno. Non è un deserto, ma un cantiere in cui, con mattoni nuovi, si costruisce bene comune. La prima politica è vivere: e questo lo avete mostrato con i vostri racconti».