Canosa: Chiesa Santa Lucia
Canosa: Chiesa Santa Lucia

La costruzione di una chiesa rappresenta una sfida diversa: non solo funzionale, ma profondamente spirituale.

Dall’incontro “Pietre Vive” del Meeting di Rimini con l’architetto Mario Botta

L'incontro dal titolo "Pietre Vive", ospitato il 23 agosto scorso al Meeting di Rimini, ha posto al centro il dialogo tra l'architetto Mario Botta e il giornalista Angelo Rinaldi, offrendo al pubblico un approfondimento sul senso del costruire oggi e, in particolare, sul valore dei luoghi del sacro. In una società sempre più secolarizzata, emerge con forza la domanda di spazi dedicati al silenzio, alla meditazione e alla preghiera. È in questo spazio che l'architettura, attraverso la visione di grandi maestri, continua a dare forma a luoghi che custodiscono la dimensione interiore dell'uomo. Mario Botta, nato a Mendrisio nel 1943, è considerato uno dei grandi maestri dell'architettura contemporanea. La sua carriera lo ha visto confrontarsi con figure come Le Corbusier, Louis Kahn e Carlo Scarpa, dai quali ha ereditato l'attenzione al dettaglio e la consapevolezza che ogni progetto deve partire dall'uomo. Le sue opere sono disseminate in tutto il mondo: dal Museo d'Arte Moderna di San Francisco al MART di Rovereto, dal restauro della Scala di Milano a numerose chiese e cattedrali in Europa, America e Asia.

La passione come motore creativo
Botta ha raccontato che la sua vocazione per l'architettura è nata da circostanze «non cercate con consapevolezza critica»: da bambino, fragile di salute, trascorreva molto tempo in casa e il disegno divenne il suo primo linguaggio espressivo. Da lì il passaggio alla pittura e infine all'architettura, che si è trasformata nel corso del tempo in passione e prigione: «Quando una passione diventa parte integrante della vita – ha spiegato – non è più solo un mestiere, ma diventa un impegno etico». Progettare non è solo dare risposta a un bisogno pratico, ma «una visione del mondo che assorbe tutte le variabili della vita».

Il rapporto con il sacro
Uno dei temi centrali dell'incontro è stato il valore dello spazio sacro. Botta ha sottolineato che, in un tempo in cui tutto sembra ridursi a business, la costruzione di una chiesa rappresenta una sfida diversa: non solo funzionale, ma profondamente spirituale. «È più facile fare bene una chiesa che una fabbrica – ha affermato – perché il progetto di una fabbrica risponde a degli input molto pragmatici, mentre la chiesa è un luogo scelto per un'attività spirituale. È uno spazio che, per sua natura, deve
aprire all'infinito». Botta ha ricordato l'episodio di una donna che, in una chiesa da lui progettata a Seriate, gli disse: "Grazie architetto, nella sua chiesa si prega bene". La critica più bella mai ricevuta.
Architettura e memoria
Per Botta mettere mattone su mattone è gesto semplice che trasforma una condizione di natura a una condizione di cultura, innesta nella materia un significato che resti nel tempo. Non a caso richiama spesso l'importanza della memoria, delle chiese romaniche lombarde che lo hanno affascinato da ragazzo e che sono state la sua prima scuola di architettura. «Il passato non è un peso – ha affermato – ma un terreno di memoria che genera nuove forme». Da qui l'attenzione al linguaggio essenziale, alla luce come generatrice dello spazio e alla pietra come elemento che resiste al tempo.

La luce come materia costruttiva
Un elemento ricorrente nel linguaggio di Mario Botta è la luce, trattata come vera e propria materia architettonica. «Senza luce non esiste spazio – ha ribadito –. Nelle chiese ho cercato di dare forma alla luce, affinché chi entra percepisca immediatamente il segno del sacro». Questa scelta traduce in termini architettonici un simbolismo cristiano che restituisce allo spazio liturgico la sua funzione originaria.

Gli spazi del sacro nelle religioni monoteiste
Durante la conversazione, Botta ha ripercorso anche il suo lavoro a contatto con le tre grandi religioni monoteiste. Ha progettato sinagoghe, chiese e, tra i progetti futuri c'è anche una moschea: esperienze diverse che lo hanno arricchito nella comprensione del sacro. «Mentre nella cultura ebraica non c'è l'atto sacrale – ha spiegato – e la lettura della Torah si può fare anche in salotto, nella liturgia cristiana avviene la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Questo richiede ai
presenti una partecipazione: quelli che prima erano attori diventano protagonisti». Progettare una
moschea sarà un'occasione per scoprire nuove forme di spiritualità.
Costruire in tempo di guerra
Un passaggio particolarmente intenso è stato dedicato alla costruzione di una chiesa a Leopoli, in Ucraina, in pieno contesto di guerra. Botta ha raccontato di come gli operai, durante i lavori, fossero costretti a interrompere il cantiere per correre nei rifugi al suono delle sirene. «Costruire in tempo di guerra – ha detto – significa opporsi alla logica della distruzione. È un segno di speranza, una luce nel buio del conflitto». In questo senso, l'architettura diventa testimonianza viva di resistenza e di speranza collettiva.
L'insegnamento dei maestri
Botta ha riconosciuto il debito verso i grandi maestri che ha incontrato: da Le Corbusier, con la sua forza visionaria, a Louis Kahn, con il suo pensiero profetico sulla centralità del silenzio, fino a Carlo Scarpa, insuperabile nell'uso dei materiali. Da ciascuno ha appreso qualcosa di unico, ma soprattutto l'umiltà di mettersi sempre al servizio del progetto e delle persone. «L'arroganza del potere – ha detto – è la vera nemica dell'architettura. Umiltà e sapienza restano i pilastri di chi vuole costruire
davvero».

La responsabilità del costruire oggi
Il dialogo si è concluso con una riflessione sul ruolo dell'architettura contemporanea. Botta ha denunciato il rischio di ridurre tutto a business, persino la pace. Contro questa deriva, l'architettura deve tornare a essere atto etico, servizio al bene comune e ricerca di bellezza. «Costruire – ha dichiarato – significa restituire dignità all'uomo, renderlo protagonista della città, della comunità, della storia. È un compito che non può essere tradito».
Pietre vive per il futuro
"Pietre Vive" non è solo un titolo evocativo, ma la sintesi di una prospettiva: ogni edificio, ogni chiesa, ogni spazio costruito può diventare pietra viva, segno tangibile di un'umanità che non rinuncia alla speranza. L'arte di Mario Botta, raccontata in questo incontro, è quella di un'architettura che non si accontenta di rispondere a bisogni funzionali, ma che cerca di alimentare la dimensione spirituale dell'uomo, ricordando che la vera casa è quella che custodisce il senso della vita. Nel cuore ferito del presente, l'architettura può ancora essere testimonianza di speranza.
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