Stilus Magistri

Ma noi chiamiamo “Papà!”

Rapporto padre-figlio nella letteratura

La traccia dei temi di Italiano del MIUR nella Maturità del 2016 ha illuminato non solo le pagine scritte degli studenti, ma anche ha evocato la cultura di un umanesimo universale, che dalla culla dell'umanità ad oggi continua a chiamare "padre" e "madre". Ma noi vogliamo evocare questo rapporto di figliolanza con il nome familiare di "papà", nella lingua ebraica evocata da Gesù di Nazareth, nel dialetto dei nostri padri del '900, nella letteratura latina e italiana. Il divino Maestro per testimoniare la sua figliolanza a Dio Padre, nel Getsemani (Marco, 14, 26) usa la parola "Abbà! Padre", cioè papà. "Abbà" è una parola ebraica. Il vocabolo ebraico è translitterato nell'alfabeto greco άββἆ (abbà). Il termine evoca il sentimento di natura divina e di confidenza filiale di Gesù verso Dio Padre e dei figli verso il padre.

Nel lessico dialettale canosino, pugliese "sulle vie dei ciottoli" e di altre Regioni d'Italia evochiamo "tatà" o "tatèje" o "tatarànne", per il nonno, cioè "tatà grànne". Il vocabolo trae le sue radici etimologiche dal latino classico tata, ae (sost. m.). che significa papà e dal greco τάτα. Tata deriva anche dalla reiterazione della sillaba "Ta", espressione del balbettio degli infanti: ta, ta. Nella Lettaratura di fine '800 Edmondo De Amicis nel racconto "L'infermiere di Tata", parla del figlio che incontra il padre infermo in ospedale, chiamandolo "Tàta, tàta mio!".

Ma la bellezza linguistica ci fa ritrovare l'espressione "tata" nella letteratura latina di Terenzio Varrone, nel I sec. a.C., il quale scrive nei Logistorici (Discorsi di Storia), nel "De Liberis Educandis" (Sull'educazione dei figli), 14, 1: cum cibum ac potionem buas ac poppas vocent (parvuli), et matrem mammam, patrem tatam (quando bevi e succhi il cibo e la pappa, i piccoli chiamano la madre, mamma e il padre, papà). Meravigliosa antica e moderna espressione dei piccoli!

Quando ero bambino, sessanta anni fa, ricordo che alcuni miei coetanei motivati dalla lingua italiana, dicevano "babbo", che ha radici etimologiche fiorentine e toscane, ma noi preferiamo chiamare "papà" nelle radici dialettali popolari, filologiche in latino e anche letterarie poetiche: "tata, tata mio!". Lo dedico in occasione del 24 giugno, giorno di San Giovanni, alla memoria della buonanima di mio padre Giovanni, mentre siamo al capezzale della mamma quando le parole "nunc et hora" della preghiera coincidono. E anche voi figli vicini e lontani della nostra terra patria, dei padri, chiamate: "papà".
maestro Peppino Di Nunno
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