Liberalizzare anche i Politici

Intervento del 27/01/2007 sul Corriere della Sera. Vorremmo che si cominciasse a parlare dei problemi della nostra gente

venerdì 16 febbraio 2007 12.25
A cura di Mariano Caputo

Ci piace ogni tanto ricordare ai visitatori del nostro portale che la politica è fatta di passione, di un sereno e civile confronto fra le parti che abbia come fine ultimo il benessere della nostra gente e non la soddisfazione personale o peggio il raggiungimento del potere da parte di un gruppo. Noi vorremmo che si cominciasse a parlare di programmi, di proposte, di obbiettivi. Vorremmo che si cominciasse a parlare dei problemi della nostra gente e su come risolverli. Vorremmo che si cominciasse a parlare di sviluppo, di occupazione, di sicurezza sociale. Noi siamo a disposizione di tutti coloro che vorranno aprire la discusione e mettiamo a disposizione questa rubrica sul nostro portale.

Nel frattempo vi riportiamo una pillola di dibattito politico nazionale, e ci piace ricordarlo, aperto da un nostro concittadino. Non ci interessa il suo schieramento ma ci piace il suo modo sereno e ragionato di portare avanti le sue idee nell'ambito di un più ampio dibattito politico.



Intervento del 27/01/2007 .

Caro Direttore, della politica non possiamo fare a meno. Quindi dicevamo qualche tempo fa quel che fa la differenza è la qualità della politica. Quando questa sembra convinta di quello che fa, disposta a prendere qualche rischio (anche piccolo), appare immediatamente più vicina e comprensibile. Non necessariamente condivisibile ma almeno intelligibile. In fondo è anche questa la differenza che passa fra il vertice politico di Caserta e la «Ienzuolata» liberalizzatrice di qualche giorno fa (una differenza che, si noti, sta già nel suono delle parole).

Si dirà che è solo un primo passo e che si sono colpiti interessi tutto sommato minori. Si ironizzerà sui parrucchieri e gli estetisti, i facchini e le guide turistiche. Si dirà che è ben strano liberalizzare fissando per legge singole componenti dei prezzi dei servizi (e valga per tutti I'esempio delle commssioni sulle ricariche dei telefonini). Ma, insomma, un Paese in cui si possa fare il pieno li dove si fa anche la spesa è certamente migliore di un Paese in cui questo non accade. Un Paese in cui il passaggio di proprietà di un'automobile non provoca necessariamente il mal di testa è certamente più vivibile di quello in cui ciò è la regola. Un Paese in cui aprire un conto in banca o sottoscrivere una polizza assicurativa non necessariamente induce a guardarsi le spalle è certamente più ospitale di quello in cui questo succede.

Un Paese in cui il fisco guarda con favore le imprese che escono dalla dimensione personale e familiare è certamente più moderno di un Paese che questo non fa. E dovremmo anche aggiungere che un Paese che considera il «fare impresa» un comportamento meritorio da garantire almeno nei tempi è un Paese certamente più attraente di quello in cui ciò non accade. Ma su quest'ultimo punto il saggio consiglia di aspettare: regolamenti attuativi, concerti ministeriali e deroghe implicite sono spesso ostacoli assai più difficili da superare di un Consiglio dei ministri. Ma questi ultimi giorni hanno portato un'altra notìzia, forse ancora più interessante, sul fronte dclla qualità della politica. Era tempo. infatti, che non si vedevano due ministri competere non già a parole, a colpi di interviste, ma nei fatti -a suon di provvedimenti su un tema non ovvio e non privo di rischi. Si dirà, anche qui, che è bene che ogni ministro faccia del suo meglio nell'ambito delle sue competenze.

Ma si perderebbe il punto che è facilmente esprimibile come segue. Dopo queste ultime decisioni. come potrà il ministro dell'Economia acconciarsi ad una trattativa sul fronte previdenzìale in cui l'applicazione della legge (in chiaro, la revisione dei cosiddetti coefficienti di trasformazione introdotti dalla legge Dini) è, per alcuni, addirittura merce di scambio. Come potrà il ministro competente per l'energia elettrica ed il gas essere da meno, in questi campi e in termini di spinta liberalizzatrice, del suo omonimo ministro per lo Sviluppo economico? E come potrà il ministro proponente della riforma dei servizi pubblici locali non trovare a questo punto la forza per non cedere alle pressioni degli enti locali e non vedere così svuotato il proprio disegno? E, ancora. come potrà il ministro per le Riforme e l'innovazione nella pubblica amminigtrazione accettare di consegnare ad altri le riforme e tenere per se i memorandum?

Insomma. è probabile che la «lenzuolata» fosse rivolta agli acconciatori ed ai derattizzatori, ma essa potrebbe finire per toccare, liberalizzandolo almeno un po', anche il nostro mercato politico. E, visto che ci siamo. alla «lenzuolata» di governo si potrebbe pensare di accompagnare, a questo punto, anche una «lenzuolata» politica in senso stretto. Perchè, diciamocela tutta, non si può seriamente pensare di elevare la qualità della politica semplicemente chiedendo una accelerazione I del processo che dovrebbe portare al Partito democratico. I tempi non sono irriilevanti ma camminare più in fretta sul posto, sul tapis roulant, può far bene al fisico ma ci lascia dove siamo. E qui, invece, si vuole andare altrove e possibilmente lontano; E, d'altro canto, non si può fare in tre mesi quel paziente lavoro politico, quella sequenza di battaglie culturali che non si sono fatte negli ultimi anni e che si pretenderebbe oggi semplicemente di sostituire strappando con maggior foga i fogli del calendario.

No. L 'unica cosa che si può oggi sostituire a una costruzione che non c'è è qualcosa in grado di farla vivere prima ancora che ci sia. È l'emozione. Immaginate per un attimo che i leaders dei Ds e della Margherita decidano simultanearnente di sostituire alle proprie mozioni congressuali null'altro che il testo del Manifesto del Partito democratico che si va con qualche fatica scrivendo in queste settimane.
Attenzione: di sostituirlo alle proprie mozioni, non di farlo votare quando il congresso si sta per chiudere e i delegati si mettono il cappotto e controllano gli orari dei treni. Con un solo gesto costruirebbero una cultura comune. Parlerebbero ai delegati ma non solo 11 loro, legherebbero sul serio i propri destini ad un progetto politico. Si assumerebbe in pieno le conseguenze di un eventuale fallimento. Libererebbero se stessi dalll'ansia da prestazione congressuale. Darebbero il via ad una salutare corsa per la leadership. Farebbero nascere il Partito democratico, nei cuori e nelle teste degli elettori attuali e potenziali, già dal 21 o 22 di aprile. Dopo di che, poco importerebbe una fascia costituente di sei mesi o di un anno. Il nuovo partito sarebbe già là, in campo, a rappresentare il futuro del sistema politico italiano.

Nicola Rossi
Intervento del 27/01/2007 sul Corriere della Sera.