Falcone e Borsellino: due eroi della legalità

La disamina di Sabino Del Latte

mercoledì 18 luglio 2018 23.21
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati due giudici, due eroi, due uomini simbolo dell'Italia onesta. Prima di arrivare però ad analizzare le figure dei due giudici è bene riavvolgere il nastro, tornare indietro nel tempo per andare ad analizzare quali siano realmente le origini della mafia. La mafia ha origine in Sicilia nella seconda metà dell'800. I nobili, per difendere le loro immense proprietà terriere (i latifondi), si affidavano ai "gabellotti" ovvero uomini di fiducia che riscuotevano delle sorte di tasse. I gabellotti svolgevano il loro compito senza controllo, colpendo la popolazione più povera con intimidazioni varie, quali distruzione dei raccolti, imposizione di tangenti. Spesso i contadini non potendo pagare erano costretti a cedere la terra. Così i gabellotti, divenuti a loro volta proprietari terrieri, rivolsero le loro intimidazioni anche contro i nobili, iniziarono a differenziare le attività e diedero vita a gruppi organizzati (famiglie, cosche, consorterie). Man mano gli interessi mafiosi si spostarono dalle campagne alle città. Con l'Unità d'Italia nel 1861, la mafia si inserì nell'attività politica, favorendo l'elezione di questo o quel candidato. Questi legami si intensificarono all'inizio del 900', mentre la mafia varcava l'Oceano inserendosi, tramite le comunità emigrate, in America. Che si tratti di uno Stato nello Stato, lo dimostrano anche le guerre che si sono succedute per il controllo del territorio. In Sicilia l'organizzazione criminale di stampo mafioso è comunemente conosciuta col nome di Cosa Nostra, la più grande organizzazione mafiosa mai esistita. Altrettanto conosciute, nel territorio italiano, sono la Camorra in Campania, la 'Ndrangheta in Calabria,la Sacra Corona Unita in Puglia. Prima ancora che un'organizzazione criminale, analisi moderne del fenomeno considerano la mafia un "sistema di potere"fondato sul consenso sociale della popolazione e sul controllo sociale che ne consegue; questo evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nel consenso della popolazione e nelle collaborazioni con funzionari pubblici, istituzioni dello Stato e politici, e soprattutto nel supporto sociale. La forza d'intimidazione esercitata dalle organizzazioni mafiose porta al silenzio, all'omertà, di associati e persone conniventi. Chi non tradisce, chi non parla, è chiamato "uomo d'onore", secondo una terminologia settaria che inverte il senso reale delle parole. Palermo e la Sicilia hanno vissuto un periodo particolarmente sanguinoso nei primi anni '80, quando era in corso una guerra di mafia che ha causato centinaia di morti e la violenza mafiosa si è spinta anche all'esterno, colpendo uomini politici, magistrati e rappresentanti delle forze dell'ordine. Questo straripare della violenza mafiosa si spiega con l'affermazione al comando dell'organizzazione mafiosa Cosa nostra del gruppo dei cosiddetti "corleonesi" (originari di Corleone, in provincia di Palermo, un centro che ha avuto un ruolo di primo piano nella storia della mafia come pure dell'antimafia) e con l'arricchimento dei gruppi mafiosi, in particolare collegato con il traffico di droghe, che ha portato alla lievitazione della richiesta di potere e di occasioni d'investimento.

Dopo questa prima ondata di violenza, soprattutto dopo i grandi delitti che hanno colpito uomini delle istituzioni, in particolare dopo il delitto Dalla Chiesa, lo Stato ha reagito. Prima con l'approvazione della legge antimafia, il 13 settembre 1982, pochi giorni dopo l'uccisione del generale Dalla Chiesa, poi con il Maxiprocesso di Palermo che si è concluso con pesanti condanne, confermate in appello e in Cassazione, per il quale ci troviamo di fronte a un fatto storico. Per la prima volta, e a seguito del più corposo processo penale della storia del Paese, l'impunità mafiosa veniva intaccata, grazie all'azione di coraggiosi magistrati raccolti in pool che per primi capirono che quello mafioso era fenomeno da trattare come unitario, anche dal punto di vista giuridico. Importanti furono pure le collaborazioni di alcuni mafiosi che - per sfuggire alla morte per mano dei loro avversari, o spesso per vendicarsi profondamente di loro - hanno fatto ricorso alla protezione dello stato.Negli anni '90 la violenza mafiosa si è resa protagonista con la Strage di Capaci in cui sono morti il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta e quella di Via D'Amelio a Palermo in cui sono morti il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, avvenuta il 19 luglio del 1992. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano due colleghi, due magistrati, due amici e quello che li ha uniti nella vita, la lotta senza quartiere alla mafia, li ha uniti nella morte quando prima l'uno e poi l'altro (a 57 giorni di distanza) vennero uccisi da Cosa Nostra. A mettere insieme questi due formidabili magistrati fu il giudice Antonino Caponnetto cui va il merito di aver istituito un "pool antimafia", un gruppo cioè di giudici che si sarebbero occupati solo dei reati di stampo mafioso, ispirandosi alla strategia che a Torino veniva utilizzata per combattere il terrorismo. Grazie al lavoro del pool, nel quale erano presenti altre tre giudici oltre a Falcone e Borsellino, si arrivò al più grosso processo per mafia che il nostro paese abbia mai visto, il famoso Maxiprocesso di Palermo, nel quale erano imputati 460 mafiosi. Il processo chiamò in causa talmente tanti nomi mettendo in luce l'esistenza di una rete articolatissima e vicina alla politica e per questo motivo incorse in diversi problemi nei tre gradi di giudizio, incluso l'assassinio di un giudice, Antonino Saetta, che avrebbe dovuto presiedere al processo d'appello e che era noto per il suo rigore morale. Una volta terminato il processo non solo i metodi intimidatori dei mafiosi ma anche quelli calunniatori dei colleghi riuscirono non solo a far sì che il pool antimafia si sciogliesse ma a minare la figura di Giovanni Falcone, che si trovò a essere isolato e accusato di aver manipolato fatti e prove: Falcone, al quale spettava la carica di consigliere istruttore che era stata di Caponnetto, venne scavalcato da un altro giudice che smantellò in breve tempo i metodi del "pool", rendendolo inutile e costringendo di fatto chi ne aveva fatto parte ad andarsene. Falcone continuò a portare avanti la lotta alla mafia, nonostante il fatto che molti colleghi gli sbarrassero la strada e la politica cominciasse a indicarlo come uomo non così retto come si sosteneva, e nel 1989 la mafia tentò il primo attentato, finito nel nulla forse per un guasto al detonatore collegato al tritolo che i mafiosi avevano nascosto tra gli scogli dove il giudice era solito fare il bagno in vacanza. Nel 1992, mentre percorreva l'autostrada dall'aeroporto di Punta Raisi a Palermo, la macchina del giudice (in cui viaggiavano Falcone, la moglie e un uomo della scorta) e una delle due macchine della scorta vennero fatte saltare in aria con 1000 kg di Tritolo all'altezza dello svincolo per Capaci con un'esplosione tale da aprire una voragine nella strada e far atterrare la prima macchina (quella della scorta) in un giardino a più di dieci metri di distanza: gli uomini della scorta morirono sul colpo, Falcone e la moglie moriranno invece in ospedale a causa delle gravissime lesioni riportate nello schianto della macchina contro il guard rail.

Dopo l'assassinio di Falcone le misure di sicurezza nei confronti di Paolo Borsellino aumentarono e lo stesso giudice un'intervista ammise da un lato che la restrizione della sua libertà personale lo soffoca e fa soffrire la famiglia e dall'altro di essere in pericolo ma aggiunse anche che la morte dell'amico di una vita può avergli tolto l'entusiasmo per il lavoro ma gli ha dato anche una grande rabbia, che gli permise di andare avanti a farlo, consapevole del fatto che ci devono essere persone che si assumano queste responsabilità. Purtroppo anche lui, come Falcone, poco dopo verrà ucciso (sempre con il tritolo, questa volta piazzato davanti alla casa della madre di Borsellino) e alla sua morte si legherà un altro mistero, quello della famosa "agenda rossa" sulla quale il giudice stava trascrivendo i suoi appunti relativi ai legami tra la mafia e l'ambiente industriale del nord Italia. In conclusione, possiamo affermare con certezza che i nomi dei due magistrati ricompaiono nel ricordo di tutti sempre insieme e insieme ricordano agli italiani che c'erano, ci sono e ci saranno sempre persone che si batteranno per la legalità, i diritti e contro la sopraffazione da parte del più forte.
Sabino Del Latte