Storia e dintorni

Gli Anarchici di Canosa e la "damnatio memoriae" della città

Ormai solo i più grandi conservano un ricordi di quegli anni...

Sono stati parte della storia della nostra città. Hanno rappresentato, con le loro idee, agli inizi del '900, buona parte degli ideali delle masse diseredate di affrancarsi dallo sfruttamento dei "padroni". Sono stati tra gli antifascisti della città di Canosa, alcuni di loro sono andati al confino. Hanno avuto scontri durissimi con i fascisti, con i comunisti, con il clero cittadino. Sono stati tra i protagonisti dei turbolenti, difficili, drammatici anni del dopoguerra a Canosa. Con i loro fiocchi neri al collo, sono stati gli anarchici della città di Canosa.

Poi sono scomparsi. Non solo inghiottititi dal buco nero della memoria che ha risucchiato il '900 della nostra città. Peggio, a loro è stata riservata la "damnatio memoriae" della città, la distruzione di qualsiasi cosa potesse in qualche modo ricordare la loro presenza. Messi al bando, dimenticati, reietti.
Forse perchè dopo i drammatici anni a cavallo tra il 1946 e il 1950, quando parecchio sangue è stato versato a Canosa, si è preferito dimenticare quegli anni e insieme a quegli anni anche gli anarchici.
Eppure Canosa è stata tra le città più importanti della storia dell'anarchia in Italia, insieme a Carrara, insieme alle città dell'Emilia.


(Canosa di Puglia, 22-23 febbraio 1948. Convegno nazionale della Federazione anarchica italiana. Masini, al centro della foto, alla sua sinistra Cesare Zaccaria (con gli occhiali) e alla sua destra Peppino Tota e Giovanna Caleffi, vedova di Camillo Berneri. Pio Turroni è inginocchiato davanti a Masini (copyright foto Archivio famiglia Masini, Cerbaia Val di Pesa) http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/339/53.htm

Tanto importante che nel 1948 il Convegno Nazionale degli Anarchici italiani si tenne proprio a Canosa [vedi foto]. L'architetto Giancarlo De Carlo (1919 – 2005) così ricorda quei giorni del Convegno: "L'anno dopo andai a Canosa di Puglia e successe lo stesso: anche lì gli anarchici avevano chiesto alle autorità di allontanarsi per qualche giorno, per la durata del convegno anarchico, e le autorità si erano allontanate.
I rappresentanti di questo anarchismo, che avevano fatto la guerra di Spagna, che avevano una esperienza straordinaria, che erano stati dipinti come bombaroli, distruttori, cattivi, sanguinari, erano delle persone eccezionali, le più aperte, le più gentili, intimamente gentili, che avessi mai conosciuto. E Canosa aveva vissuto momenti unici durante i giorni del convegno anarchico, perchè si era instaurato il "governo" pacifista degli anarchici, basato sui rapporti umani e sulla reciproca comprensione".

Gli anarchici di Canosa, così importanti per il movimento italiano che Aurelio Chessa (1913-1996), uno dei più eminenti esponenti dell'anarchia in Italia, ha trascorso lunghe giornate nella nostra città per cercare di salvare e tramandare ai posteri quanto più materiale possibile degli anarchici di Canosa. Così, se nella nostra città nulla più rimane conservato, parte dei documenti si trova oggi presso l'archivio Berneri di Reggio Emilia.
Già, perché a Canosa neanche i partiti di sinistra hanno mai sentito il bisogno di conservare, istituzionalmente, un qualche ricordo.

Ormai solo i più grandi conservano un ricordi di quegli anni. Per esempio il Prof. Antonio Michele Paradiso, che così ricorda Canosa in quegli anni in un suo intervento sul sito http://www.ianora.it/?p=418:

[… ] Nello sceneggiato televisivo [si riferisce a quello su Di Vittorio, ndr] si parlava di altri paesi e non solo di Cerignola; di Andria, di Minervino, di Corato. Perché non di Canosa? In quegli anni il Corso San Sabino e Piazza della repubblica erano attraversati da masse di contadini in sciopero che manifestavano contro il caro-vita e per la terra. Non tutti però erano allineati sulle posizioni di Giuseppe Di Vittorio e del suo sindacato, senza nulla togliere alla personalità ed alla popolarità del "cerignolano". Il fatto era che, a Canosa, comunisti ed anarchici si fronteggiavano a muso duro. Per le strade del paese, nelle cantine, nelle sedi politiche e sindacali, nelle case stesse. La disfatta del quarantotto poco aveva influito sulle divisioni d'una sinistra che mai era stata veramente unita, se non dalla volontà dei singoli capi e dalla impellenza delle circostanze: la guerra di liberazione e le lotte per la terra. Come un solco sanguinoso pesava la frattura che si era creata tra comunisti ed anarchici. Lo ripeteva spesso mio nonno. I comunisti, a suo avviso e nell'opinione degli anarchici, avevano tradito il movimento internazionale al tempo della guerra di Spagna: la conseguenza erano state, lì, la sconfitta e la resa ai fascisti e ai nazisti. I contrasti sarebbero continuati, numerosi e violenti, anche nella clandestinità. Ora, gli anarchici, ostentavano apertamente i loro fiocchi neri al collo e le bandiere nere al vento, in contrapposizione alle falci ed ai martelli delle bandiere rosse. Essi mal sopportavano il superiore dinamismo organizzativo dei comunisti, che strideva con l'individualismo esacerbato loro: era una specie di lotta sorda, a volte, più spesso aperta, tra un libertarismo velleitario e spontaneo, che esaltava il singolo, e la manovra concertata di una massa amorfa e cieca, irreggimentata da un capo. Chi si era opposto alla prepotenza fascista con la forza individuale delle proprie idee, pagando di persona e con le sofferenze di intere famiglie, si sentiva tradito da questi compagni che sempre più essi avvertivano diversi e lontani da loro. D'altra parte di avvisaglie ne succedevano ogni giorno di più.

Nella lotta spietata di quegli anni contro gli agrari, le conquiste del movimento organizzato erano spesso intese dagli anarchici come conquiste di parte, più spesso come un vero e proprio cedimento al potere degli agrari, come tappe parziali d'un disegno superiore che riguardava l'insieme delle masse diseredate delle campagne. C'era, tra gli anarchici, chi avvertiva che quei parziali successi, che pure si verificavano, nella loro provvisorietà avrebbero alla lunga frantumato il fronte dei "senza niente" che anni di sacrifici e di lutti avevano miracolosamente cementato. Chi riceveva un pezzo di terra, una quota d'esproprio, un riconoscimento in proprietà d'un pezzo di terra tenuto in fitto da anni o in enfiteusi, mentre la gran parte ne era esclusa, veniva additato come un debole, come un traditore della "causa" che, invece, lottava per l'emancipazione di tutti. C'era, insomma, chi , accontentandosi dell'oggi, rinunziava volentieri al domani: era questo il nuovo nemico da combattere, ben più pericoloso dello stesso agrario, dicevano gli anarchici.

Chi aveva ragione? Ne sentivo parlare tantissimo. Ne parlavamo anche noi, di riflesso, ragazzi, reduci di interminabili discussioni e litigi cui assistevamo nelle case intorno alla tavola, per poi continuare in piazzetta a parteggiare, in villa, per il corso, magari sottovoce in qualche angolo di stanza alle Associazioni cattoliche che frequentavamo, ciascuno argomentando e sostenendo la tesi del proprio padre o del proprio nonno, stando ben attenti, però, a che non ci udisse il prete".

Sono gli anni perduti della Canosa del Dopoguerra.
Anni difficili e tremendi. Ne parleremo prossimamente, quando ricorderemo i drammatici anni di sangue 1946-1950.

FRANCESCO MORRA
Convegno nazionale della Federazione anarchica italiana
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