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Dalle Liberalizzazioni di Bersani a quelle di Monti

Il piccolo commercio schiacciato dai gruppi economici. Caduti i parametri da rispettare per l'avvio di nuove attività

Un incentivo per l'aumento dei consumi? ma non fateci ridere

Sin dai primi anni '80, con il cosiddetto decreto Marcora, la Grande distribuzione organizzata cominciò a pressare il mondo politico affinché fossero concesse forme di liberalizzazione che aiutassero i grandi gruppi economici a crescere e svilupparsi sull'intero territorio ma quali sono state le conseguenze sulle micro e piccole imprese italiane?

In verità gli effetti negativi di questo percorso politico cominciavano ad aversi nei primi anni '90 e poi nel 1998 con il Dlgs. 114, cosiddetto Decreto Bersani vennero introdotte altre forme di liberalizzazione, consentendo a tutti di avviare un'attività commerciale senza alcun rispetto delle minime norme pur stabilite dai piani del commercio che ciascun comune, fino ad allora, aveva l'obbligo di redigere.
Caduti i parametri da rispettare per l'avvio di nuove attività commerciali, fino ad allora "contingentate", quindi collegate al rispetto di un parametro numerico oltre il quale non si poteva andare e al rispetto di altre norme come quelle legate alle distanze tra un esercizio ed un altro o alle superfici minime di vendita, sono saltate le regole senza tenere conto che quella programmazione non solo garantiva adeguati strumenti di armonizzazione all'interno dei territori urbani ma consentiva anche al piccolo commerciante di maturare un salvadanaio rappresentato dalla futura cessione dell'azienda e dell'autorizzazione perché solo in questo modo potevano nascere nuove attività commerciali.

Nessuno ci venga a dire che non c'era concorrenza e posti di lavoro. C'erano proprio perchè quelle regole rappresentavano un minimo di garanzia rispetto alla longevità delle imprese che, al contrario di oggi che durano solo dai due ai quattro anni, venivano tramandate da imprenditore ad imprenditore ed erano tutte attività storiche, quindi di elevatissimo valore, anche sociale e culturale così come c'era pochissimo spazio per le improvvisazioni e il commercio non era ancora valvola di sfogo della disoccupazione.

Quelle prime e dannose liberalizzazioni venivano stranamente accettate ad occhi chiusi anche dalle sigle sindacali di rappresentanza del commercio che, in cambio, ottenevano in via esclusiva alcune forme di gestione e di introiti economici come quelli dei corsi professionali e dei servizi riservati ai loro Centri di Assistenza Tecnica. Oggi si va addirittura oltre e dopo aver distrutto il "valore della piccola impresa" si distrugge anche il valore familiare degli imprenditori che tornerebbero a gestire le attività esattamente come negli anni '50, quando nei negozi si dormiva pure, esattamente come fanno oggi i cinesi a cui questo nostro Paese tanto generoso e magnanimo ha consegnato, gratuitamente, una grande fetta della distribuzione commerciale: stiamo parlando delle liberalizzazioni di orari e di giornate di apertura dei negozi e degli ipermercati, ovunque essi si trovino.

Senza analizzare ciò che sta accadendo in molte piccole realtà comunali italiane, dove anche per acquistare i beni di prima necessità bisogna percorrere chilometri per raggiungere il più vicino centro commerciale e senza approfondire il dramma vissuto dai commercianti della vicina Molfetta il cui numero si è ridotto di oltre il 50% in pochi anni e comunque da quando è stato consentito alla grande distribuzione di fare man bassa del territorio, anche se è un argomento troppo scomodo e nessuno ha il coraggio di parlarne approfonditamente, in modo diabolico si persiste senza mettere in conto che quel dramma potrebbe ripetersi in tutti i nostri comuni, già fortemente a rischio.

Ora il mercato sarà ancora più appetibile perché le aperture domenicali, che da oltre 15 anni anche la nostra Associazione sta contrastando, dovendoci ora arrendere per intervenuta mano superiore, rappresentano la salvezza per i grandi ipermercati che torneranno ad investire sul nostro territorio; cosa che non hanno fatto prima proprio perché non avevano la certezza della libertà di operare quando vogliono, senza peraltro creare né buona occupazione ma anzi trasportando altrove le risorse qui sottratte.

Permetteteci un dubbio ed un invito alla riflessione comune: ora che tutte le regole sono saltate, siete convinti che ci sarà un nuovo sviluppo? E se sviluppo ci sarà porterà con sé nuova occupazione, nuova ricchezza, nuovi consumi?
Non credete, forse, che tutto ciò potrebbe essere uno Sviluppo senza Progresso?



Il Coordinatore
Savino Montaruli

Il Presidente
Michele Palumbo
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