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Le lettere di Agata Pinnelli

Una memoria in cammino

Il Giorno del Ricordo

L'onesto uso della memoria è il più valido antidoto all'imbarbarimento. È lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un corretto uso della memoria può aiutare ad individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o codificare quel che pensiamo adesso. La memoria può racchiudere una vasta modalità di manipolazione che produce danni quasi irreparabili alla coscienza storica, deforma il passato, intossica il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi con il "silenzio", quel silenzio che la memoria antifascista ha sottaciuto, rielaborando l'8 settembre 1943 e a seguire gli anni fino al 1945 in una combinazione di sfascio e di rinascita: c'è un'Italia piegata, livida, allibita, che naufraga di fronte al dilagare dell'occupazione tedesca, (storia sottaciuta) ma nel naufragio della storia nazionale fiorisce anche l'Italia della scelta, quella che muove i primi passi verso il domani e stimola il paese con l'esempio dei suoi uomini migliori, una storia caratterizzata da scelte individuali, cui vanno riconosciute generosità e lungimiranza politica. Sono scelte importanti, che creano uno spartiacque con l'altra faccia della situazione, un'Italia sconfitta, che non reagisce e non pensa alla ribellione, ma si rifugia nell'attesa dei liberatori anglo-americani. Una scena dominata dalla paralisi delle energie e dell'esaurimento psicologico. Lo documentano uomini politici insospettabili come Pietro Nenni, che parla di capitolazione, che ha tolto l'iniziativa alla nazione; lo stesso Calamandrei, che nel momento di rielaborare la memoria userà toni lirici per celebrare la scelta antifascista, nel 43 dalla campagna umbra, dove si era rifugiato, registra con amarezza l'inazione degli italiani e quella sua personale "Ce la prendiamo con gli inglesi e gli americani che vanno lenti, ma noi che facciamo?...".

La letteratura ha interpretato questo silenzio ben prima della storiografia. Lo scrittore si avvicina ai fatti con la propria sensibilità e li racconta così come li ha visti, li ha ascoltati, li ha avvertiti sulla propria pelle. Sono racconti che si sviluppano tra contraddizioni, sfumature e dubbi perché il loro destinatario è l'emozione di chi legge e l'emozione non ha bisogno né di grandi quadri esplicativi né di una intrinseca coerenza logica, né di un percorso di lettura predeterminato. Gli scrittori della felice stagione del neorealismo nella quale si è prodotta la rappresentazione letteraria della guerra, spinti dalla carica esplosiva di libertà che li animava, non volevano fare altro che esprimere se stessi e il sapore aspro della vita appreso in una tavolozza ricca di colori, dai personaggi e paesaggi alle didascalie politiche, alle voci gergali, ai lirismi. Lo storico, invece, ha un approccio razionale, perché interroga il passato attraverso le domande che nascono dalle urgenze del presente, le quali, se rivolte a un passato prossimo, subiscono la pressione del presente in modo più forte, perché deve fondare l'autorappresentazione di una generazione, quindi lo spazio in cui si muove è molto stretto, dove le insidie dell'agiografia e delle negazioni vanno al di là dell'onestà intellettuale del ricercatore, soprattutto quando si affronta un periodo segnato da elementi traumatici, come una guerra, la caduta di un regime, una rivoluzione. I contributi degli storici contemporanei sono spesso pregevoli e ben documentati, ma vengono ripresi e divulgati attraverso sintesi che fanno torto alla ricerca.La vulgata non ha bisogno di emozionare, di rendere conto della complessità; le si chiede di spiegare, di rassicurare sulle ragioni morali dei contendenti, di sanzionare il primato etico di chi ha vinto.

Il 1943 – 1945 è paradigmatico per verificare le distanze tra letteratura e storiografia. Esempio sono le foibe e il dramma dell'esodo giuliano–dalmata che sono stati sdoganati solo a metà degli anni 90 e sono entrati nella coscienza nazionale nel 2004, quando il Parlamento con voto quasi unanime ha istituito per il 10 febbraio "il giorno del ricordo delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata". Prima di allora si è trattato di una memoria confinata nella regione nord-orientale, ignorata dai manuali scolastici e dalle "vulgate". Ma Fulvio Tomizza ha raccontato le stesse vicende già nel 1960 con il suo romanzo Materada (dal nome del suo villaggio natale): si tratta di un'opera epica che attraverso la storia di una famiglia e di una proprietà frodata descrive il destino di una comunità assegnata alla Jugoslavia dai trattati internazionali del dopo guerra, con i cittadini costretti alla scelta sofferta tra una nuova nazionalità "straniera" e l'abbandono della propria terra e delle proprie radici. Nel 1977 Tomizza è tornato sul tema con "La miglior vita", la storia personale di un sagrestano, Martin Crusich, testimone e cronista lungo tutto l'arco della sua esistenza sia dei fatti minuti, sia dei grandi quadri storici che finiscono per sconvolgere la sua comunità: "Partì il settanta per cento della popolazione, con camion stracarichi di suppellettili, nei carri tirati dai manzi come uscissero per i campi, semplicemente in corriera come se si recassero dal dentista. - Gente dove andate? - mormoravo tra strappi di pianto, mentre guardavo una fila di carri macinare ghiaia su per la più vicina erta per Buie. Rimasi fermo, scrollando le spalle. La mia campana adesso era inutile, li avrebbe soltanto straziati".

"Il nostro vero sodalizio è nato - scrive il vivacissimo scrittore ultracentenario, Boris Pahor, cittadino triestino della minoranza slovena sul Sole 24 ore del 5/2/17, in occasione della morte del celebre scrittore slavo-bosniaco Predrag Matvejevic, docente di letteratura all'Università di Zagabria, poi alla Sorbona di Parigi e poi alla Sapienza di Roma dal 1994 al 2007 – sulla legge 30 marzo 2004 n°92, che istituisce il giorno del Ricordo il 10 febbraio di ogni anno. Matvejevic è intervenuto sul Corriere della Sera a sostegno della mia tesi che avevo esternato su Il Sole 24 ore, Corriere della Sera, il Piccolo di Trieste, in cui suggerivo che il giorno del Ricordo venisse trasformato nel Giorno dei Ricordi. Al pari di me, aveva sottolineato come le foibe fossero un crimine gravissimo, i cui colpevoli si meritavano le più dure condanne, ma che oltre alla tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe,dell'esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle proprie terre per avversione al regime socialista titino, bisognava ricordare i precedenti crimini dei fascisti contro le popolazioni slave. Matvejevic aveva provato sulla sua pelle cosa fosse il fascismo, conosceva bene anche i campi di concentramento in cui venivano deportati sloveni e croati e ancora prima della guerra, la soppressione dell'identità e della cultura slovena e croata da parte degli italiani. Basterebbe una nuova commissione italo-slovena di cultura e di Storia che facesse ulteriore chiarezza su quanto accadde ai due popoli anche negli anni della guerra e nel periodo post-bellico. Già un rapporto rispettoso delle due verità era stato stilato, ma i risultati sono stati lasciati nel cassetto. Sarebbe necessario solo per ridiscutere i punti dove la politica non riesce a mettersi d'accordo. I tedeschi e i francesi ci sono riusciti, mentre in Italia il tutto è stato tacitato da un accordo tra Fini e Violante a Trieste nel 98, poi nel 2015 al Teatro Verdi, in cui era stato aumentato il numero degli infoibati per tacere sul fatto che la lista di coloro che sono finiti nelle foibe era stata stilata anche dai comunisti italiani che allora erano un tutt'uno con quelli jugoslavi e avrebbero voluto che Trieste venisse consegnata a Tito. Credo che il modo migliore per onorare la memoria dell'amico Pedrag, sia ribadire con fermezza che non si tacciano i crimini fascisti contro gli sloveni, nascosti nell'armadio della vergogna e che il Giorno del Ricordo diventi il Giorno dei Ricordi".

Ci si auspica che quest'ultima memoria letteraria della barbarie del XX secolo e delle tragiche rimozioni della storia diventi, come dice Boris Pahor, seme per un futuro migliore, con l'auspicio che tutti i governanti della Terra si riuniscano in un congresso mondiale per fare in modo che nel XXI secolo non esistano più le enormi disuguaglianze, che ancora oggi proliferano sotto lo sguardo dell'indifferenza. Lui proprio nel suo capolavoro "Necropoli", scrisse che dopo tutto il male che aveva attraversato il XX secolo, non sarebbero bastati cento, forse duecento anni per ristabilire una vita normale. "Oggi servirebbe un governatore mondiale, - ci dice – qualcuno che possa gestire tutta la Terra, una sorta di padre che cerchi di stabilire una democrazia senza il dominio di nessuno. Era anche un'idea di Dante: l'Imperatore come guida per tutti e il Papa per il dominio spirituale". L'istituzione del Giorno del Ricordo è stato un atto che ha messo in moto un processo di liberazione della "Memoria" per fare spazio ad una verità taciuta e negata, un incubo da tenere privato, anche se storia nazionale.

La testimonianza poetica della scrittrice, figlia dell'esodo, Maria Gabriella Macini Fazio, intervistata da Canosaweb, consolida la consapevolezza che il diritto culturale alla memoria si coniuga alla necessità di considerare la memoria come un dovere, perché il silenzio, l'indifferenza offendono la fatica dolorosa del ricordo, impediscono la salvaguardia della propria identità, delle proprie radici, la solidarietà e soprattutto il sentimento di unità del genere umano e della fratellanza che ne deriva. In una parola annientano la speranza del futuro. Perciò il ricordo deve diventare il nostro compagno di viaggio: ogni giorno deve essere elaborato, interiorizzato, anche se è doloroso, affinché si trasformi in guida, in luce ai nostri comportamenti, orientandoli ad un futuro di progresso comune, di democrazia, di libertà.
Agata Pinnelli.

Per noi la storia
ha scavato solchi profondi
che abbiamo riempito
di sangue e lacrime.
Esuli per le vie del mondo,
in un lento
e inesorabile cammino,
abbiamo tracciato strade
asfaltate di nostalgia
e con la memoria
abbiamo costruito
ponti di parole,
per raggiungere un futuro
dove "esule"
sarà solo un refolo di malinconia
sul vocabolario della libertà.

Maria Gabriella Macini Fazio
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